Coronavirus/C’è qualcosa che non va

di Pietro Colagiovanni

La draconiana misura adottata dal governo di chiusura sino al 15 marzo delle scuole e delle Università italiane sembra sulla carta la vigorosa reazione di una classe dirigente decisa ad una minaccia straordinaria: il coronavirus nella sua forma più pericolosa, il Covid 19. Sembra, appunto. Ciascuno degli elementi di questo assioma iniziale se analizzato con maggiore pacatezza e meno frenesia rivela invece una serie di criticità tali da cambiare completamente il quadro di riferimento. Punto primo: è una misura draconiana, ossia dura, durissima talmente severa da poter invocare il legislatore dell’antica Grecia?

Ometto per carità di patria il procedimento confuso e pasticciato con cui questo governo (quello in cui virus si può anche pronunciare vairus) è arrivato alla sua decisione. Andiamo al sodo: se chiudo scuole e università blocco il contagio in modo decisivo? Non ci vuole uno scienziato (anche se gli esperti hanno sconsigliato la misura) per dire di no. Perché si chiudono scuole e università? Perchè c’è tanta gente insieme, è l’unica ratio logica. Ma per essere draconiana la misura presuppone che le scuole e le università siano gli unici posti dove c’è tanta gente insieme, essendo l’assembramento il problema di questo virus fortemente contagioso. E invece no.

La gente insieme, dopo il decreto, continuerà in Italia a ritrovarsi. L’elenco sarebbe lungo e sterminato. Mercati, palestre, uffici, negozi potranno continuare sino alla fine di questa pagina. E allora perché scuole e università? Se vuoi bloccare il contagio con mezzi repressivi devi fare come ha fatto la Cina (e manco ci è riuscita appieno): devi isolare tutti i cittadini nelle loro case e provvedere tu Stato ai bisogni essenziali. Altrimenti si perde tempo e si creano danni al sistema economico e sociale gravi talmente gravi che un’epidemia da sola non sarebbe mai riuscita a provocare. Punto due. Questa classe dirigente, opposizioni ed esponenti del territorio inclusi, è all’altezza della sfida posta dal Covid 19?

Ragioniamo con calma, anche stavolta. Nel 2003 la Sars, altro ceppo infettivo più virulento dell’attuale, promanò in epidemia sembra dalla Cina. Una classe dirigente avveduta avrebbe capito che con il progredire della globalizzazione le malattie infettive sarebbero state la futura frontiera della vulnerabilità dei sistemi sociali occidentali. Nel 2003 gli interscambi erano ancora ridotti, nel 2020 il Covid19 si espande a macchia d’olio in tutto il mondo perché i sistemi sono molto più interconnessi. Bene. La classe dirigente italiana come ha reagito a questa prevedibile sfida per la società che dirige? Facendo a pezzi la sanità pubblica, con tagli lineari perchè costava troppo e inserendo il numero chiuso per la Facoltà di Medicina. E perché ha fatto questo? Perché il sistema sanitario pubblico effettivamente costava troppo ma solo perchè la politica italiana l’aveva colonizzato riempiendolo di sprechi incommensurabili.

Una piccola regione come il Molise vantava circa 100 dirigenti amministrativi, non personale medico operativo si badi bene, con stipendi medi di 100.000 euro annui. E questa immensa forza dirigenziale non riusciva nemmeno a redigere un bilancio. E c’era un tizio, che aveva l’unico merito di stare in mezzo alla politica (ed aveva avuto anche guai con la giustizia per questo) che ogni mese riceveva (e forse riceve ancora) un bonifico di 2000 euro per una fantomatica consulenza proprio sui conti della Asl. Proiettate questa roba sulle altre 19 regioni italiane e capirete che razza di depredamento delle casse pubbliche la politicizzazione della sanità ha comportato.

La risposta è stata quella di non eliminare gli sprechi e di ridurre i servizi. E siccome le epidemie in Italia non si vedevano da anni i reparti di malattie infettive sono stati tra i più colpiti, perchè non ricevevano troppi pazienti. Tralascio la demenzialità, poi, della introduzione del numero chiuso per la Facoltà di Medicina. Sicuramente una misura radical chic, forse presa dopo qualche bottiglia di champagne di troppo bevuta alle spalle del contribuente. Detto questo torniamo alla domanda e forniamo una risposta. La classe dirigente italiana è totalmente inadeguata alle sfide epocali che abbiamo di fronte e non c’è vairus che tenga. Ultimo punto. Ma il Covid 19 è davvero un pericolo per l’umanità? La risposta è si ma non per motivi intrinseci al virus stesso.

Il Covid 19, non ce ne voglia Burioni, è poco più di un’influenza e tale sarà anche in futuro. Il punto è che, vista la sua facilità di propagazione, rende il re nudo. Fa capire come e quanto la nostra società sia stata male organizzata e male gestita da classi dirigenti arraffone e avide, culturalmente impreparate e miopi, attente solo al risultato del sondaggio politico del giorno dopo. Il punto è semplice: un 7% di contagiati dal virus ha bisogno di terapia intensiva. Se sono 1000 parliamo di 70 persone, se sono un milione parliamo di 70.000 persone, se parliamo di 10 milioni (cifra possibile in mancanza di adeguate tecniche di contenimento) parliamo di 700.000 persone. E dove stanno 700.000 posti letto di terapia intensiva? Ecco perché il virus ci uccide, perché ci siamo consegnati (in Italia come nel resto del mondo) a leader incapaci che non sono stati in grado di mettere in sicurezza le nostre società. E per questo il Covid 19 (ma ne arriveranno altri con tassi di mortalità più significativi) è per davvero un virus letale.

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