Un salario utile, come minimo, alla sopravvivenza

Da nord a sud, si discute sulla giustezza del salario minimo regolamentato per legge, qualche sindacalista ancora sostiene che il contratto è il parametro giusto e sostiene che la colpa è dei contratti non firmati dalle centrali sindacali rappresentative.

Un giudice a differenza del sindacalista evidenzia che una guardia giurata prende meno di 6 euro ora, lo stesso ha aspettato per anni il rinnovo del contratto nazionale, che ha distribuito solamente briciole (nonostante diverse iniziative di sciopero, che hanno alleggerito le buste paga di chi si è astenuto per protesta dal lavoro) e scatta così lo scandalo verso Sicuritalia e Mondialpol.

La cameriera ai piani, nonostante nell’albergo in cui lavora i costi delle camere siano lievitati da 100 a 300 euro, la più fortunata guadagna 8 euro ora ma la collega magari di agenzia di lavoro interinale ne guadagna meno di sei. Un’addetta alle pulizie, che con due lavori part-time arriva si o no a 700 euro.

Il sistema di esternalizzazioni in Mondo Convenienza con lavoratori romeni, tunisini, pakistani, moldavi permette di applicare il contratto multiservizi anziché quello della logistica.

L’ex presidente dell’Inps Pasquale Tridico reitera il suo sostegno al salario minimo, mentre il segretario della Cisl Luigi Sbarra ribadisce la contrarietà della sua organizzazione.

Per un giorno, il lavoro, viene alla ribalta su tutti i principali quotidiani e notiziari, sullo sfondo dell’accordo raggiunto dalle opposizioni parlamentari (Partito democratico, Movimento 5 Stelle, Più Europa, Azione, Sinistra italiana ed Europa verde) per una proposta congiunta sul salario minimo.

L’accordo tra i partiti di opposizione, con l’eccezione di Italia Viva, è stato raggiunto il 30 giugno, prima dell’intesa,  erano state già presentate 6 proposte di legge sul salario minimo, tre proposte (Fratoianni, Orlando, Conte) indicavano il riferimento alla contrattazione collettiva salvo indicare una soglia inderogabile per il trattamento economico minimo (rispettivamente 10, 9,5 e 9 euro); una proposta (Terzo Polo) individuava una soglia (onnicomprensiva di altre voci retributive) non collegata alla contrattazione collettiva; le ultime due proposte (Serracchiani e Laus) facevano riferimento soltanto a chi non è coperto da contrattazione collettiva, non individuando direttamente una soglia (demandata a decreto ministeriale o a un’apposita commissione).

I pro e i contro dell’accordo del 30 giugno; tra le note positive il collegamento istituito col trattamento economico complessivo sancito dalla contrattazione collettiva.

Si individua una cifra di 9 euro, come trattamento economico minimo inderogabile, questa cifra non comprenda altre voci, importante è anche il riconoscimento per legge dell’ultrattività dei contratti scaduti o disdetti, per le note negative è da segnalare la mancanza di un meccanismo automatico di indicizzazione, tema rilevante nel pieno della crisi inflazionistica che ha eroso fino al 15% del potere di acquisto di molte lavoratrici e lavoratori.

Moltissimi sono i contratti scaduti, specie nel terziario ma anche nel pubblico impiego (il governo non ha stanziato un euro per i comparti strategici della scuola e della sanità). Se alcuni rinnovi (ad es. legno e arredo) sono riusciti ad avere un effetto di recupero, quello della vigilanza privata, uno dei settori che sarebbero più positivamente interessati dall’introduzione di un salario minimo per legge, ha invece sancito uno status quo fatto di super sfruttamento, di cui in sede giudiziale è stata spesso accertata l’incostituzionalità ai sensi dell’Art. 36 della Costituzione.

Nella proposta congiunta delle opposizioni si fa riferimento, per la rivalutazione dell’importo minimo, all’istituzione di una commissione tripartita composta da rappresentanti delle parti sociali e istituzionali, personalmente eleggerei il CNEL  come autorità salariale terza, oltre alla contrattazione e alla legge. Per evitare il rischio d’introdurre una sede di negoziazione parallela rispetto a quella contrattuale, che potrebbe indebolirla proprio quest’ultima o meglio a copertura immediata dell’inflazione quantomeno dei redditi più bassi, sarebbe da introdurre un sistema complementare tra contrattazione collettiva e un salario minimo automaticamente rivalutato.  

Va sottolineato, come accerta l’esperienza internazionale, che la conformità delle aziende in materia di salario minimo è più semplice da controllare rispetto a quella agli standard della contrattazione collettiva. Inoltre, il salario minimo – nella sua semplicità – è un diritto individuale che con più probabilità un lavoratore conosce rispetto alle griglie stabilite dalla contrattazione.

Il salario minimo deve esercitare un ruolo complementare alla contrattazione collettiva, fu una grande occasione persa, durante il secondo governo Conte, di non legiferare in materia quando i rapporti di forza politici e parlamentari erano ben più favorevoli.

Il non crederci del Partito democratico, la netta contrarietà della Cisl e una posizione incerta di Cgil e Uil esercitarono, indubitabilmente, un ruolo di freno.

L’esperienza europea ci dimostra che i timori di un indebolimento della contrattazione collettiva possono essere superati disegnando uno strumento capace, come fa anche la proposta delle opposizioni, di tenere assieme entrambi gli elementi.

In Belgio oltre al salario minimo c’è l’estensione erga omnes dei contratti collettivi, e addirittura la scala mobile.

In Germania il salario minimo non ha avuto un effetto negativo sulla contrattazione collettiva (che aveva subito una importante erosione in precedenza).

In Spagna l’attuale governo ha agito in entrambe le direzioni, aumentando il salario minimo di oltre il 40% e riaffermando la prevalenza della contrattazione collettiva centralizzata.

Il dibattito sul salario minimo ha avuto il merito di riaprire una discussione sulla questione degli stipendi, la necessità dell’introduzione di una soglia minima è fuori discussione, l’esito amaro del rinnovo del Ccnl della vigilanza privata lo testimonia, poco prima del rinnovo le categorie interessate di Cgil e Cisl avevano messo in campo una class action contro il contratto (da loro stesse sottoscritto), a riprova dell’erosione della contrattazione nel contesto della terziarizzazione.

Le organizzazioni confederali continuano a confidare troppo nella riduzione del cuneo fiscale, visto come strumento rilevante di sostegno alle buste paga, a mio giudizio resta una posizione sbagliata trattandosi di un incentivo per le imprese e non un aumento a carico dei profitti nel conflitto distributivo.

Il Decreto Lavoro liberalizza il ricorso ai contratti a termine (oltre che i voucher), da sempre, la precarietà è un importante vettore di moderazione salariale: meno scatti di anzianità, meno possibilità di ricevere un premio di produzione, meno capacità contrattuale sul posto di lavoro.

La proposta di salario minimo, con questi chiari di luna, difficilmente sarà essere approvata, però offre una finestra temporale di opportunità per sindacati, forze politiche, movimenti sociali, associazioni per una discussione generale sulle condizioni di lavoro e di vita nel nostro paese.

La discussione necessita di una mobilitazione che tenga assieme: il salario minimo, lo smantellamento del Reddito di cittadinanza, l’opposizione all’estensione del precariato voluta dal governo, i contratti fermi.

Serve un intervento su questioni che incidono drammaticamente sulla qualità e la giusta retribuzione del lavoro (part-time, appalti e subappalti, tirocini, falso lavoro autonomo, gig economy, su cui continua l’iter legislativo europeo), sarebbe bene che l’Italia non rimanga fanalino di coda in Europa quanto a livello di mobilitazione sociale.

Alfredo Magnifico

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