Uno studio dell’Ocse dimostra un crollo di iscritti al sindacato negli ultimi trent’anni, accompagnato dal calo della contrattazione collettiva.
In Italia i dati degli iscritti sono sovrastimati, visto che non c’è modo di verificare i numeri autocertificati da Cgil, Cisl e Uil.
Il nuovo studio sull’adesione dei lavoratori ai sindacati e sulla copertura dei contratti collettivi nazionali nei Paesi più industrializzati, mostrano un crollo delle tessere (quasi) ovunque e una carenza nei rinnovi dei Contratti collettivi.
La densità sindacale media si è dimezzata passando dal 30% del 1985 al 15% del 2024, mentre l’adesione delle aziende alle organizzazioni datoriali è rimasta stabile: la quota di dipendenti del settore privato che lavorano in imprese affiliate a un’organizzazione datoriale è scesa solo di poco, passando dal 59% degli anni Ottanta a circa il 55% di oggi, ovviamente si tratta di medie.
Ci sono Paesi ad altissima sindacalizzazione come Svezia e Danimarca, al 60%, l’Islanda, che tocca addirittura il 90%, mentre ci sono crolli in alcuni paesi tipo il 4,7% in Colombia, 5,6% in Estonia e 7,4% in Ungheria.
Sembra che durante la pandemia ci sia stato un aumento d’ iscritti, ma in realtà si tratta di un’illusione ottica dovuta a un “effetto composizione”: le percentuali sono cresciute perché sono stati persi più posti di lavoro tra i lavoratori non iscritti ai sindacati.
Dallo studio Ocse viene fuori che non ci sono grosse differenze di genere: le donne iscritte al sindacato nel 2024 erano al 14,2%, contro il 14,9% degli uomini.
La vera differenza la fa invece lavorare nel settore pubblico o in quello privato: nel pubblico il 41,3% dei dipendenti è iscritto al sindacato, rispetto al 10,1% del settore privato.
Sembra che i sindacati stiano via via scomparendo dal mondo delle imprese un po’ ovunque.
Quello che conta sarebbe anche la funzione svolta dai sindacati nella vita pratica dei lavoratori, nel 2024 il tasso di iscrizione ai sindacati era superiore o vicino al 50% nei Paesi in cui le indennità di disoccupazione sono gestite da istituzioni affiliate ai sindacati, il cosiddetto “Ghent System” di Danimarca, Finlandia, Islanda e Svezia, ma Ocse fa notare che sistema è sempre più messo in discussione ed eroso dallo sviluppo di fondi assicurativi privati che offrono un’assicurazione contro la disoccupazione senza richiedere l’iscrizione ai sindacati.
La conseguenza diretta del declino delle iscrizioni ai sindacati è la diminuzione della copertura della contrattazione collettiva,tanto che la quota di lavoratori i cui salari e condizioni sono regolati da un contratto collettivo è scesa dal 47% del 1985 al 33,5% del 2024.
I sindacati, certo, negoziano e firmano accordi collettivi che nella maggior parte dei Paesi si applicano poi a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro iscrizione o meno a un sindacato. E in effetti, in tutti i Paesi, a eccezione di Grecia e Messico, la quota di lavoratori coperti da un contratto collettivo è superiore a quella dei lavoratori sindacalizzati, eppure, la copertura della negoziazione collettiva è sempre più bassa.
Il nostro Paese compare ai primi posti dell’Ocse sia per densità sindacale, che sarebbe diminuita di pochissimo negli ultimi trent’anni, sia per i livelli di copertura della contrattazione collettiva.
Ma i dati sono falsati ed Ocse punta il dito su alcuni problemi;
· il primo è che i dati Ocse sul tasso di sindacalizzazione italiano sarebbero notoriamente sovrastimati.
· la fonte dei tesseramenti italiani sono i sindacati stessi, che si autocertificano gli iscritti, quindi numeri non verificabili. E infatti, non appena si usano dati indipendenti, la realtà appare ben diversa.
Una ricerca evidenzia la distonia tra il numero degli iscritti al sindacato dichiarati da Cgil, Cisl e Uil e il numero di quelli che nei sondaggi si dichiarano iscritti a una sigla sindacale.
Nei dati forniti dai sindacati siamo intorno al 32-33% di sindacalizzazione, nei sondaggi ci si ferma al 22-25%, quasi dieci punti di differenza.
Negli altri Paesi analizzati dallo studio danese il dato è allineato ai sondaggi, in Italia no.
Stesso problema riguarda la copertura della contrattazione collettiva, che in Italia sfiora il cento per cento.
L’Ocse evidenzia come un elevato livello di copertura contrattuale non indica necessariamente un sistema di contrattazione solido, anzi, che «un’elevata copertura può mascherare un sistema frammentato, un limitato potere contrattuale sindacale o un numero significativo di accordi scaduti i cui termini sono ancora formalmente validi».
La fotografia dell’Italia, dove la contrattazione collettiva formalmente ha una copertura alta, ma di fatto ha smesso di funzionare da tempo ci sarebbe bisogno di una revisione, a causa dell’incapacità dei Ccnl, cosi come sono oggi concepiti, di tutelare il potere d’acquisto dei lavoratori in questi anni d’ inflazione galoppante.
Alfredo Magnifico