Crisi in Molise: un lavoratore autonomo su quattro è a rischio povertà

Anche e soprattutto in Molise,un lavoratore autonomo su quattro è a rischio povertà. Le famiglie delle“partite IVA”, dei piccoli imprenditori, degli artigiani, dei commercianti,dei liberi professionisti edei soci delle cooperative corrono un rischio povertà quasi doppio rispetto a quello delle famiglie di lavoratori dipendenti. I dati sconvolgenti che la CGIA di Mestre ha diffuso di recente sono utili per disegnare il profilo del quinto stato in Italia: quello del “ lavoro indipendente”.Tre milioni e mezzo di persone, tra cui oltre due milioni di imprenditori individuali, circa novecentocinquantamila milaprofessionisti, quattrocentoquarantamila ditte individuali che beneficiano di un regime fiscale divantaggio. C’è chi l li considera “imprenditori” e chi, invece, non esita a definirli “evasori fiscali”.Sta di fatto che, su questo ampio settore del lavoro si sono fin qui scaricate iniquità fiscali e vere ingiustizie previdenziali al punto da avere negato al lavoro autonomo anche i più elementariammortizzatori sociali. Vi è che, oggi, la maggioranza di queste “partite IVA” non solo sonopovere, ma sono escluse dall’ambito dove si affrontano la grande impresa e il lavoro dipendente. I dati parlano chiaro: dal 2008 al primo semestre del 2014 gli “autonomi” che hanno chiuso l’attività sono stati circa trecentocinquantamila, a fronte di una diminuzione dei lavoratori dipendenti che rasenta solo il quattro per cento. Sempre la CGIA  ha fatto presente che, nell’anno 2013, circa il venticinque percento degli “autonomi” ha “tirato avanti” con un reddito disponibile  inferiore ad €. 9456 annui, corrispondente alla sogli di povertà calcolata dall’ISTAT. Venendo al fulcro del problema rileviamo che : i primi sette anni di crisi non hanno solo sbaragliato la classe operaia, ma si sono abbattuti sul ceto medio. E’ infatti a questa categoria che l’analisi delle classi, come quella statistica, ha assimilato il lavoro indipendente, sia quello professionale che quello della piccola impresa o del commercio. In quanto “ceto medio” il lavoro indipendente sembrerebbe dunqueprivilegiato. Così non è più. Va qui ricordato, inoltre, che, a differenza dei lavoratori dipendenti, “quando un lavoratore autonomo chiude in maniera definitiva la propria attività, non dispone di alcuna misura di sostegno del reddito”. A questo si aggiunge il fatto che, purtroppo, non è facile trovare un altro lavoro: spesso l’età non più giovane e le difficoltà del momento costituiscono una barriera al reinserimento, spingendo queste persone verso forme di lavoro esclusivamente in nero. A livello territoriale, dobbiamo registrare – nostro malgrado – che la peggiore contrazione delle “partite IVA” si è registrata al Sud: in particolar modo in Campania, Sardegna, Calabria e, purtroppo, Molise, la riduzione è stata di circa il dieci per cento .In conclusione è con non celata amarezza che dobbiamo prendere atto che, dopo quasi sette anni di crisi, il cosiddetto “ceto medio produttivo” (costituito in grossa parte da commercianti ed artigiani) è sempre più in affanno: oggi è il corpo sociale che più degli altri è scivolato verso il baratro della povertà e dell’esclusione sociale.

​​​​​​​​Luigi Zappone – Confimpresa Molise

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