#corpedelascunzulatavecchia/Non di solo pane, pane e mortadella

Non di solo pane era il titolo di un libro di religione in uso in un liceo a Campobasso. Il professore di religione annunciò il titolo, ed un alunno buontempone al titolo”Non di solo pane” aggiunse “la mortadella”.

Il pane ha sempre fatto parte della nostra alimentazione soprattutto per noi sessantenne, sessantenni cresciuti, secondo i ricordi, a venti anni dalla fine della guerra, quando se non i nostri genitori, ma sicuramente i nostri nonni ci “intimavano” di mangiare pane e prosciutto, non prosciutto e pane. L’intimazione era dovuta dl fatto che con il pane ci saremmo saziati prima, o gonfiati, non si sa, e sarebbe rimasta qualche fetta di prosciutto per la prossima volta. Uno “sparambio” non indifferente considerata la fame atavica che ancora aleggiava nelle menti dei nostri avi, fame che ci hanno tramandato e, almeno nel mio caso, non sono (per lo meno ancora) riuscito a debellare.

Quindi il pane era il re della tavola, era presente dalla colazione (la mitica zuppa di latte) al pranzo sino alla cena passando anche per gli eventuali spuntini di metà mattinata o pomeriggio.

Una volta, tanto tempo fa, sino agli anni sessanta, il pane si faceva rigorosamente in casa e se non si aveva il forno in casa lo si cuoceva nel forno del fornaio che lasciava l’ultima infornata a suoi clienti. Di solito il pane si faceva ogni quindici giorni e, di conseguenza, il pane fresco era una tale rarità che se per sbaglio capitava in tavole era una enorme iattura, non essendo abituati al pane fresco , ma essendo il pane fresco più buono del confratello “stagionato”, quello fresco, dicevo, si consumava in maniera velocissima e quindi non andava bene.

Fare il pane in casa era uno status per la famiglia. Ogni massaia che si rispettasse si cercava al forno, i contadini avevano quasi sempre il forno n casa,  ad informare il pane della “quindicina”, da non confondere con la “quindicina “ di Donna Peppa, quella era tutta altra cosa.

Fare il pane non era questione di poco e non c’erano i forni automatici, quindi tutto a mano, ah mancavano anche le impastatrici ovviamente, ed il lavoro iniziava con la cottura della patate. Ora si parla di pane con le patate come di un miraggio. Una volta impastato il pane, rigorosamente usando il lievito madre, si lasciava lievitare ed in una simmetrica organizzazione di tempi ci si recava con estrema puntualità al forno con la “mesa “

Che poi sarebbe servita al ritorno per metterci le pagnotte di pane.

La “mesa” era rigorosamente portata dalle donne sulla testa utilizzando la “spara”un foulard o uno strofinaccio (mappina) avvolto sino a formare un cerchio, per fare da ammortizzatore al peso della “mesa”. Ovviamente, come è facilmente immaginabile, portare la “mesa” da casa al forno e viceversa, era una vera e propria opera di equilibrio fisico da far paura.

Nonostante il trasporto di “mesa” le nostre nonne non avevano dolori alla cervicale, oppure ne avevano ma facevano tranquillamente finta di niente. Oltre alla “mesa” le nostre nonne usavano portare sulla testa, sempre “proteggendosi” con la “spara” anche la “tina”

che serviva per prendere l’acqua alla fontana. A Cambuasce a la Funtana Vecchia….

Tornando al pane: una volta cotto il pane lo si riportava a casa e lo riponevano “rente u cascione” una madia di legno dove solo la padrone di casa era bilitta a prelevare le pagnotte. Secondo me c’era nche qualche “cascione” con la chiave, giusto per evitare che qualche ragazzino prendesse un pezzo di pane fresco.

Fare il pane in casa era considerata una forma di ricchezza e di status sociale. Ho sentito raccontare di una signora caduta in disgrazia, che si recava a comprare il pane in negozio. La signora, per vergogna prendeva la pagnotta di pane e la nascondeva nel grembiule “u mandazine” per evitare l’onta di non poter fare il pane in casa. Ovviamente, come adesso, un’operazione del genere non poteva sfuggire alla pettegola di turno che avvisava immediatamente tutto il rione.

Quindi una volta entrato nel cascione il pane era consumato sempre e comunque sino a quando non si ammuffiva, e seppure si fosse ammuffito, si sarebbe tolta la muffa e mangiato quello buono.

Erano anni di fame e di stenti, anni che sono serviti anche a farci stare meglio, anni che ci hanno fatto capire l’importanza di tante cose.

Ovviamente, e meno male, le cose sono cambiate e sono cambiate sicuramente in meglio. Il pane lo compriamo, lo troviamo anche la domenica fresco e fragrante in ogni giorno dell’anno. Abbiamo perso di vista le stagioni in maniera irreversibile, e questo è il problema. Una volta la farina si faceva al mulino con il grano raccolto nel campo. Ora se chiedessimo ad un bambino ove si fa la farina potrebbe risponderci nello scaffale del supermercato.

Abbiamo finiti male ed abbiamo arrivati alla frutta, ma senza avere pane e coperto.

Con affetto e stima: statevi arrivederci

Franco di Biase

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