A Campobasso la presentazione del saggio “Il continente buio” di Francesco Sauro

L’associazione LA VENTA Esplorazioni Geografiche ha il piacere di presentare a
Campobasso il saggio “Il continente buio” di Francesco Sauro edito quest’anno da
Il Saggiatore.
L’evento si svolgerà il 27 dicembre alle ore 18.30 presso la sala cinema Alphaville in
via Muricchio 1 e sarà anche l’occasione per presentare al pubblico l’ultimo volume
dell’associazione su “Naica, le grotte di cristallo”.
Si ringrazia per l’ospitalità Associati Malatesta.
L’ingresso è previsto con green pass secondo le normative vigenti.

“Due sono le frontiere dell’esplorazione umana, oggi: una è lo Spazio, l’altra è il sottosuolo. Ma se la figura dell’astronauta è ben conosciuta, quella dello speleologo è ancora avvolta dal mistero. Può sembrare strano, ma la comunità scientifica ha appena cominciato a interessarsi alle cavità ipogee: fino al Duemila la parola “grotta” non compariva mai sulle riviste scientifiche, e la speleologia era considerata poco più di un hobby estremo. Poi gli scienziati si sono accorti che il mondo sotterraneo ci è ignoto quanto Marte. E che in effetti speleologi e astronauti hanno parecchio in comune.”

Di questo e tanto altro parla nel suo nuovo libro Francesco Sauro: classe ’84, padovano, è tra i più importanti speleologi al mondo. È sceso molte volte a più di mille metri di
profondità e mappato oltre cento chilometri di nuovi percorsi sotterranei dall’Europa
all’Asia, dal Messico agli Urali, dai vulcani delle Canarie ai ghiacciai artici della
Groenlandia. Sì, anche i ghiacciai hanno le loro grotte: i cosiddetti mulini glaciali.

Si
formano quando l’acqua di fusione scava un letto nel ghiaccio creando pozzi e gallerie,
fino a centinaia di metri di profondità. I glaciologi se ne sono occupati raramente, spesso
senza comprenderne le potenzialità scientifiche. Ma, negli ultimi anni, i glaciospeleologi
hanno cominciato a esplorarle in modo sistematico, insieme ai microbiologi. E hanno
scoperto, per esempio, che anche all’interno della calotta c’è vita. Nella fattispecie, batteri sconosciuti.

“Laggiù le condizioni sono paragonabili a quelle dei ghiacci di Marte o di Europa” (uno dei
satelliti naturali di Giove): “cioè i luoghi del Sistema solare dove è più probabile trovare vita microbica. Studiare la vita nel ghiaccio può aiutarci a immaginare eventuali biologie
extraterrestri, o almeno suggerirci dove cercarle”. Ma cosa ci sia oltre certe profondità ci è ignoto. “In un’epoca in cui le tecnologie sonar, radar e satellitari ci permettono di mappare i fondali marini con precisione millimetrica, non esiste ancora uno strumento in grado di scrutare sotto la superficie terrestre”. Solo l’uomo può farlo.

Nel 2020, con il biologo Michel André, ha registrato in una di quelle grotte “ciò che si
avvicina di più al nulla”: uno spettrogramma sonoro completamente piatto, ovvero il
silenzio assoluto.

Insegna Geologia Planetaria all’Università di Bologna e guida team di ricerca internazionali nei più oscuri angoli del pianeta. Dal 2011 è anche consulente per l’ESA (Agenzia spaziale europea): ogni due anni porta astronauti del calibro di Luca Parmitano e Mike Fincke della Nasa ad accamparsi all’interno di una grotta per circa una settimana, esplorando il sottosuolo. E imparando a gestire le emozioni suscitate dai luoghi alieni. Nel 2016 c’era anche un astronauta cinese, che per la prima volta si è trovato a svolgere un
addestramento con un collega della Nasa.

Le grotte come analogo dello Spazio, come ultima frontiera dell’esplorazione terrestre: di
questo parla il suo ultimo libro “Il continente buio”, che ripercorre le grandi avventure della speleologia, dalle origini fino ai successi degli ultimi vent’anni.

Con questa rinnovata coscienza, guidato dal suo fascio di luce led, lo speleologo discende
pozzi e canyon senza fondo, striscia lungo cunicoli strettissimi, penetrando in sale dove le
concrezioni calcaree sono rimaste ferme ad altre ere geologiche, o l’impronta di un uomo
primitivo è rimasta impressa “nel fango ancora molle”. E, quando pensa di aver raggiunto il limite dell’ignoto, il limite si sposta di nuovo. In profondità. O nella complessità di un
labirinto.

Oppure nella scoperta di forme di vita sconosciute, come quelle che ha trovato
nella grotta di Imawarí Yeuta, nell’Auyan Tepui, in Venezuela. L’Auyan Tepui è un
maestoso altopiano di quarzo, minerale inscalfibile, tra i meno solubili sulla Terra. Per
questo, l’idea che l’acqua potesse scavare delle cavità al suo interno era inconcepibile: la
loro formazione avrebbe implicato milioni e milioni di anni.

Ma nel 2004, a distanza di pochi mesi, sono state scoperte due grotte in quarzite. “E se quelle grotte esistevano perché non potevano essercene altre? E l’Auyan Tepui, il più grande di quegli altopiani, non poteva custodire la grotta di quarzo più grande della Terra?”.


A quel tempo Sauro, dottorando di Geologia, aveva un progetto ambizioso: “Volevo capire come potevano formarsi dei sistemi sotterranei così immensi in una roccia così dura”. Nel 2013 la sua squadra trova finalmente un varco e penetra nel ventre dell’Auyan Tepui. Ad attenderli, uno spettacolo “mai visto sulla Terra”. Foreste di quarzite rosa. Gallerie incrostate di stalattiti rosse. Pavimenti di cristalli. Laghi viola dai riflessi iridescenti.

Fino a delle strane strutture spumose, “della consistenza di una meringa”, che spuntano dal pavimento simili a uova di dinosauro, tappezzano le pareti come nuvole e pendono dal soffitto come collane bulbose.

Dagli studi sui campioni, tuttora in corso, è emerso che Imawarí Yeuta ha tra i 50 e i 70
milioni di anni, il che ne fa il più antico sistema di grotte mai esplorato sulla Terra. Che nei laghi viola vivono batteri ignoti che colorano l’acqua con pigmenti sconosciuti. E che
proprio questa vita microscopica ha portato alla formazione di “stromatoliti” di silice
amorfa: le strutture spumose.

“Normalmente si trovano negli oceani, e i loro resti fossilizzati sono tra le più antiche evidenze di vita sul Pianeta. Si tratta di strutture minerali stratificate, formate dall’interazione tra elementi chimici e microrganismi come batteri e alghe. Si pensava che usassero la luce solare come fonte di energia, ma queste qui si trovano nel buio assoluto”. Da cosa traggono l’energia per sopravvivere? Quanto sono antiche? Molte domande non hanno ancora avuto risposta.

“Ora quello che molti scienziati si aspettano è l’esplorazione di una grotta su Marte, o sulla Luna. Qui abbiamo migliaia di chilometri di grotte: perché lassù dovrebbe essere diverso?

Forse la vita extraterrestre si è evoluta nel sottosuolo. Quello della Luna potremmo
cominciare a esplorarlo entro i prossimi vent’anni. Prima con i droni. Poi con l’uomo”. Ma il contributo della speleologia non riguarda solo la scienza.

Immagini senza precedenti, grazie all’avvento del digitale, stanno rivelando al grande pubblico l’immenso potenziale estetico e conoscitivo della grotta: dal cuore blu di un ghiacciaio alle spade di cristallo di selenite della grotta di Naica, in Messico, a cui l’Associazione speleologica La Venta, di cui Sauro è presidente, ha appena dedicato una monografia con oltre duecento foto: “Il digitale ha avuto un ruolo decisivo nella recente popolarità della speleologia: il mondo ha cominciato a vedere di che stavamo parlando”.

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