Senza il finanziamento pubblico nessuna speranza per il nostro Sud

“La Costituzione italiana si è ridotta ad un pezzo di carta svalutato dal dictat europeo”; “il Mezzogiorno è oggettivamente, sotto il profilo macroeconomico, ad un livello di deindustrializzazione e disoccupazione inferiore a quello della Grecia”; “l’Italia è un Paese fallito e l’inerzia esistente lo ha ridotto allo stato di una vacca da mungere”.
E’ desolante il ritratto dell’Italia tracciato dall’avv. Luciano Barra Caracciolo, presidente della VI sez. del Consiglio di Stato e dal prof. Cesare Pozzi, docente di economia applicata della Luiss, invitati dagli avvocati del Foro di Campobasso, Giuseppe Ruta e Massimo Romano, a discutere sul tema “i modelli di crescita della Costituzione e dei Trattati: è ancora possibile uno sviluppo del Mezzogiorno dentro la moneta unica?”
Caracciolo per spiegare il metodo antidemocratico con cui si è imposta l’Europa è partito da un teorema esposto nel 1999 da Juncker, allora presidente dell’Eurogruppo, che recitava così: “prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere cosa succede, se non provoca proteste né rivolte, perché la maggior parte della gente non capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno”. Di fatto ciò spiega perché oggi il nostro Paese si trova in uno stato di necessità sotto lo slogan “ce lo chiede l’Europa”. “Ben diverso era invece lo spirito della nostra Costituzione, – argomenta il consigliere di Stato – nata per il perseguimento di fini da concretizzare con la volontà degli uomini alla partecipazione e alla solidarietà sociale. Calamandrei, uno dei padri della Costituzione faceva notare che il diritto al lavoro, sancito nell’articolo 4 implicava che dall’altra parte ci fosse un obbligo. Se oggi lo Stato non è più in grado di garantire le finalità poste alla base della Carta costituzionale e, dunque, la democrazia sostanziale risulta minata, la Corte Costituzionale dovrebbe paradossalmente dichiarare l’illegittimità del diktat europeo. L’Europa – prosegue Caracciolo – non è in grado di riparare a tutto ciò. Anzi la necessità di ridurre l’inflazione in presenza di una moneta europea che non può svalutare, ha dato luogo ai contratti a termine e al peggioramento delle condizioni salariali. Inoltre il fiscal compact, il pareggio fiscale, e la mannaia dello spread hanno ulteriormente indebolito il nostro Paese e soprattutto il Mezzogiorno è andato sott’acqua senza possibilità di riemergere visto che l’investimento pubblico, fondamentale per la rinascita del Sud, ormai è inesistente”.
Il professor Pozzi invece richiama Voltaire per sottolineare storicamente la capacità dell’Italia di trainare il cambiamento nel contesto mondiale. E ricorda Meucci nelle telecomunicazioni, la Olivetti per il primo personal computer, la digitalizzazione, il motore a scoppio di Matteucci, il brevetto dell’industria farmaceutica, e Vincenzo Tiberio, molisano, che scoprì l’efficienza terapeutica delle muffe. Oggi invece i Paesi che hanno guidato il cambiamento sono gli Stati Uniti, la Germania e il Giappone, mentre c’è una spinta molto forte nella direzione di una Italia debole da spremere per le cose che può dare, in primis i “cervelli”. “Il Mezzogiorno – sottolinea l’economista – per anni ha rappresentato il motore demografico dell’Italia, oggi non più. E la maggior concentrazione demografica si sta verificando su Roma e Milano. Ma un Paese che vuole avere la sua identità deve favorire la capacità insediativa, le megalopoli sono aberranti! Le attività industriali hanno bisogno di spazio”. A parere del professor Pozzi la democrazia si traduce in politica industriale. “Non ci può essere consumo se non si genera lavoro e qualsiasi patrimonio deve dare profitto, altrimenti ci si riduce ad una vacca da mungere. Un’Europa che standardizza i comportamenti diventerebbe una nuova Italia. La varietà si realizza mantenendo vive le comunità e dunque le sue specifiche competenze”.
Rossella Salvatorelli

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