“Prometheus -la fine di tutte le cose è anche l’inizio di tutte le altre”. Azione performativa di Antonio Pallotta a Roma

L’azione performativa di Antonio Pallotta si terrà Sabato 19 settembre 2020 al MAAM – Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz – Città Meticcia in Via Prenestina, 913 – ROMA.

Insieme allo stesso Antonio Pallotta parteciperanno all’azione con il ruolo di “distruttori” gli artisti: Lucio Barbuio, Michele Spina e Marialuna Storti. Saranno presenti il fotografo Giorgio Sacher e il regista Giulio Bottini a fotografare e riprendere il momento della “distruzione”.

L’edizione critica è a cura di Fabio Benincasa. Direttore Artistico del MAAM è Giorgio de Finis.

Fabio Benincasa scrive:
La cosmogonia palindroma nel gesto prometeico di Antonio Pallotta
[…] È questa la fatica a cui siamo vocati: sostenere un doppio sguardo, capace di fissare in faccia la rovina e assieme la lamina di sole che accende ogni mattina. (Franco Marcoaldi)

Otto cubi nei colori rosso, giallo, verde, blu, due per ogni colore, sono al centro di questa azione artistica di Antonio Pallotta. Dal titolo della performance, Prometheus, e da questi colori primari appare evidente che ci confrontiamo con una peculiare cosmogonia che, invece di procedere dall’aggregazione dei frammenti verso la ricomposizione di un insieme strutturato, compie un cammino a ritroso per poi ricominciare da capo, forse eternamente.


La purezza della geometria platonica viene qui ridotta in frantumi, rubata agli dei per essere finalmente offerta agli uomini, rimodellata dal tempo della rappresentazione e da quello della riproduzione. Nel video in reverse e nelle foto le pure forme dei cubi si ricomporranno o si evidenzieranno come complete in se stesse, svincolandosi dal regime caotico al quale il gesto casuale dei performer sembrano consegnarle.


La profanazione della forma consente all’umano di appropriarsi dei singoli frammenti, di ricomporli liberamente anche se solo a livello immaginativo e visuale. Le geometrie pure non sono dunque svilite dal sacrilegio, ma riportate, tramite la profanazione del gesto e l’operare del corpo, alla fruibilità dell’antropico.


Così la soffocante iperproduzione di forme, tipica della realtà produttiva contemporanea, si apre a una democratizzazione che non è iconoclastia, ma al contrario pulsione germinativa di forme caotiche e di sensi non necessariamente controllati dall’artefice. “La fine di tutte le cose è anche l’inizio di tutte le altre” come giustamente chiosa lo stesso Pallotta.

Nel Prometeo di Pallotta, l’eterno ritorno delle antiche cosmologie pagane lascia spazio a un tempo sospeso e palindromo, che va liberamente avanti e indietro, ma ogni volta si riavvolge su di sé, senza mai tornare al risultato originario.


In un racconto di Franz Kafka dedicato a Prometeo, si narrano varie versioni della leggenda:

«Secondo la prima, poiché aveva tradito gli dèi per gli uomini, fu incatenato al Caucaso, gli dèi mandavano aquile a divorargli il fegato che sempre nuovamente ricresceva.

Secondo la seconda, Prometeo per il dolore dei colpi di becco si addossò sempre più alla roccia fino a diventare una sola cosa con essa.

Secondo la terza, nei millenni il suo tradimento fu dimenticato, dimenticarono gli dèi, le aquile e lui stesso.


Secondo la quarta, ci si stancò di lui che non aveva più ragione di essere. Gli dèi si stancarono, le aquile si stancarono, e la ferita, stanca, si richiuse. Restò l’inspiegabile montagna rocciosa. – La leggenda tenta di spiegare l’inspiegabile. Dal momento che proviene da un fondo di verità, deve finire di nuovo nell’inspiegabile.»


Ogni versione della vicenda sparisce, sbiadisce nella memoria umana e nel ciclo degli atti divini, fino a lasciare solo l’inspiegabile della montagna alla quale il Titano è stato incatenato. Spiegare l’inspiegabile è il compito di creazione che l’arte si assume. Da un’arte eterna e immutabile, oggetto di adorazione, deriva, tramite la distruzione, una disseminazione estetica fertile, che il demiurgo offre generosamente agli approcci cognitivi del pubblico.

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