Ossario Molisano. Viaggio tra i cimiteri molisani. 3a tappa cimitero di Spinete. Tomba di Felice Colantuono

Vi sono cimiteri solitari diceva Pablo Neruda, dove la morte riesce a gridare senza bocca, né lingua né gola. Uno di questi è il cimitero di Spinete dove è custodita la tomba di Felice Colantuono. Sulla lapide un fascio littorio e l’epigrafe che ricorda il grande invalido morto in Africa per la conquista dell’Impero, immolando la sua vita per la grandezza della patria. Apro una piccola parentesi sul concetto di “patria”. Prima di avere una valenza in campo militare, patria vuol dire sentirsi a casa. E così Felice Colantuono riposa oggi in quel fazzoletto di terra rude e di stirpe matesina.


Il 6 maggio 1936 il “Corriere della Sera” titolava: “Storico annuncio del Duce. La guerra è finita. L’Etiopia è italiana”. Il maresciallo Badoglio, a capo dell’esercito italiano, aveva scritto un telegramma al Duce il giorno precedente “Oggi 5 maggio alle ore 16, alla testa delle truppe vittoriose sono entrato in Addis Abeba”. Nell’ottobre del 1935 Mussolini dava inizio all’invasione dell’Etiopia. La Società delle Nazioni reagiva duramente vietando la fornitura di armi all’Italia. Inoltre stabiliva severe sanzioni economiche.


La politica estera fascista negli anni che precedono lo scoppio del secondo conflitto mondiale è quindi in parte incentrata sull’imperialismo e l’impresa etiopica. La campagna propagandistica venne orchestrata facendo leva su motivi di sicura presa come la necessità di vendicare la sconfitta di Adua, dettata da uno spirito revanscista, quella di compiere una benefica opera di cristianizzazione di popolazioni primitive e selvagge e infine quella non meno rilevante di offrire uno sbocco coloniale all’emigrazione italiana.


Nel 1936 e negli anni successivi furono numerose le lettere che partirono dalla Prefettura di Campobasso indirizzate al Commissariato per le migrazioni interne e la Colonizzazione: “La fine della trebbiatura e l’inizio del maltempo fanno elevare enormemente il numero di disoccupati di questa Provincia. Tale aumento si verifica, poi, in modo comprovato e quasi totalitario per il bracciantato agricolo, numerosissimo in questa che è la Provincia più rurale d’Italia. D’altra parte la sobrietà e l’attaccamento al lavoro degli agricoli molisani li rende particolarmente preziosi per valorizzare le terre ancora vergini dell’Impero”.


Per quanto riguarda il numero dei militari partiti per l’Africa Orientale nel corso di tutta la campagna di guerra si possono così riassumere: Ufficiali e Militi partiti per l’A.O. numero 1309, Ufficiali e Militi che hanno presentato domanda di arruolamento numero 2996 e infine Giovani Fascisti che hanno presentato domanda di arruolamento numero 200.


Torniamo al nostro Felice Colantuono partito per l’Africa. Lo stile di vita nel continente nero lo si evince da diverse lettere dei nostri molisani. Un esempio: “Ieri mi sono fabbricato un lettino, lettino per modo di dire! Mi sono procurato dei coperchi di cassa, li ho chiodati in modo elegante e poi mi sono arrangiato ad intrecciare il filo di ferro come se volessi ottenere una rete metallica! Non ho né materasso, né saccone con paglia perché c’è pericolo di insetti. Da qualche indigeno capace mi farò fare una specie di materasso e possibilmente anche un paio di lenzuola”.

Questi furono i primi molisani a raggiungere il Corno d’Africa mescolandosi tra cammellieri scalzi, neri e seminudi. Un sogno imperiale scandito dall’ululato notturno delle jene.

Roberto Colella

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