La riflessione/ Il Molise tra zona rossa, ospedale da campo e vaccini

E’ un momento tremendamente difficile per il Molise, colpito da una crisi economica, a seguito dell’epidemia da coronavirus e da una ancor maggiore crisi sanitaria, per lo stesso motivo. La recente ordinanza del governatore Toma, certamente un atto dovuto, che di fatto ‘chiude’ il Basso Molise adesso suona come un ‘”era già tutto previsto”, dato che da tempo c’erano segnali, non solo sulla situazione in quella parte specifica ma su tutto il territorio regionale, che portavano verso un generale aggravarsi della situazione. Le continue dichiarazioni istituzionali, in base alle quali era tutto più o meno sotto controllo, non trovavano riscontro nel sentore popolare e in parte in quello che si vedeva in strada o in video: troppe libertà, scarso tracciamento della popolazione e un generale senso di paura per quello che stava succedendo, ma soprattutto per le notizie che venivano dall’unico ospedale per i ricoveri Covid, con il bollettino dei contagi e dei decessi su numeri sempre più alti. Tutti, quindi, sembravano aspettarsi quello che è avvenuto, ma non solo e non tanto nella zona interessata, quanto sull’intero territorio; ma l’esplosione di contagi a Campomarino non può essere addebitata solo a quanto detto, ci deve essere stato l’elemento scatenante forte, o anche più di uno visti i numeri. Centinaia di contagi non possono certo essere addebitati solo ad ipotetici errori nella gestione sanitaria, ma nascono comunque da comportamenti sbagliati di parte della popolazione e da norme di sicurezza non rispettate dai cittadini. Ora è vero che un’emergenza come questa, così forte e pericolosa, viene commentata con la logica dei numeri; ma dietro cifre aride ci sono dolori ed emozioni, tensioni, nervosismi e comportamenti ipocondriaci e una società che ha perso certezze.

Torniamo al punto precedente. In questo contesto si ripete il dibattito sulla ‘triplice’ (il termine non è esclusiva delle sigle sindacali) che governa e gestisce la sanità sul territorio regionale, che finora non ha dato prova di unità e coerenza. Da questo fatto bisogna partire perché in sostanza è il ‘brodo primordiale’ di ogni discorso sulla sanità in tempo di Covid in Molise. Giustini da una parte e il duo Toma-Florenzano dall’altro finora non hanno rinunciato neanche per un momento ai dispetti, alle ripicche, scambi epistolari, a totale testimonianza di un quadro disunito, anzi ancor peggio conflittuale. Non torniamo sul ‘caso’ della tramontata ipotesi del centro-Covid a Larino, che comunque resta esempio primario di quanto scritto finora; cechiamo di vedere quello che deve ancora accadere nella speranza che da oggi in poi i tre decidano di cambiare rotta o almeno comportamenti reciproci. La chiave di volta ruota su tre argomenti: zona rossa, ospedale da campo e gestione dei vaccini. Il timone resta nelle stesse mani, ma fallire anche su questi tre argomenti-momenti sarebbe devastante per il territorio.

In ordine d’importanza: la zona rossa. Giusta la chiusura visti i contagi, altrettanto doverose le azioni possibili di ristoro per lavoratori (autonomi) che perderanno potere contrattuale e soprattutto per gli esercenti commerciali, oltreché per fabbriche ed industrie. Le misure ci sono state e ci sono ancora; i bandi pubblici non sono mai stati corposi come adesso, ma continuano a scontrarsi con la burocrazia che blocca tutto, rallenta i pagamenti, pone paletti a volte incomprensibili. Questa volta rischia di saltare il banco, cioè l’impresa privata che regge tutto, compresi compensi e stipendi della pubblica amministrazione. Le decisioni dovranno essere veloci, i pagamenti a chi lo merita certi e senza tentennamenti, oppure sarà la fine dell’intero Molise.

L’ospedale da campo: sembrerebbe essere in arrivo e non è un ‘optional’ ma serve e servirà per alleggerire il peso del Cardarelli, dove sanitari ed operatori sono sotto stress lavorativo continuo. Medici ed infermieri devono essere messi in condizione di essere sempre lucidi e vigili, i turni di lavoro non possono essere quelli massacranti di adesso. L’ospedale da campo dovrà portare anche personale, casomai assunto celermente ed a tempo determinato derogando a qualche regola burocratica.

Terzo punto: gestione dei vaccini. Dovranno arrivare per tutti ed essere preceduti da una programmazione scientifica o meglio ancora militare, nel senso che tutto dovrà essere previsto e per ogni cosa ci dovrà essere anche il piano di riserva. Individuare vari punti di prelievo e vaccinazione, il maggior numero possibile, potenziare la comunicazione per le prenotazioni. Non si tratta di avere alcune di queste soluzioni: o tutte o sarà il caos.

Non vogliamo abbandonare la speranza.

Stefano Manocchio

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