Un nuovo studio internazionale coordinato dall’I.R.C.C.S. Neuromed, in collaborazione con
l’Università Sapienza di Roma e la Vanderbilt University (USA), chiarisce un ruolo inedito
delle cellule del sistema immunitario nella regolazione della pressione arteriosa, aprendo nuove
prospettive terapeutiche contro l’ipertensione.
Già da qualche anno sappiamo che i linfociti partecipano alle risposte fisiopatologiche che portano
all’innalzamento dei valori di pressione e, nel tempo, causano ipertensione arteriosa. In questo
studio i ricercatori hanno analizzato cosa succede in particolari condizioni di immunodeficienza
da carenza di linfociti, in modo da capire se l’aumento della pressione arteriosa si verifichi anche
in loro assenza.
La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Cardiovascular Research, ha dimostrato che alcune
cellule del sistema immunitario innato (la prima linea di difesa del nostro organismo), in
particolare, le cellule Natural Killer (NK) e le Innate Lymphoid Cells (ILC), riescono a svolgere
funzioni simili a quelle che in passato gli stessi ricercatori avevano osservato per i linfociti,
attivandosi e producendo citochine che contribuiscono alle alterazioni vascolari che portano
all’ipertensione. Un aspetto interessante emerso da questo studio consiste nell’aver identificato che
la loro attivazione è regolata dalla metilazione del DNA, una modifica chimica che consente di
accendere o spegnere specifici geni. Si tratta di un meccanismo noto come epigenetica, attraverso il
quale fattori ambientali possono influenzare l’attività dei geni senza modificarne direttamente la
sequenza del DNA.
“Nel nostro studio – spiega Daniela Carnevale, autore corrispondente dello studio, Professore
Ordinario Sapienza e Responsabile del Laboratorio di Ricerca Neuro e Cardiovascolare
dell’I.R.C.C.S. Neuromed – abbiamo identificato come, in condizioni di immunodeficienza da
assenza di linfociti, la regolazione epigenetica del recettore β2-adrenergico influenzi l’attività delle
cellule NK e ILC.
In particolare, la metilazione di questo recettore ne riduce l’espressione, favorendo così l’attivazione di queste cellule e la conseguente produzione di citochine
infiammatorie. Al contrario, quando il recettore è maggiormente espresso, le cellule rimangono
inattive, limitando il processo infiammatorio e proteggendo dall’ipertensione”.
“Questa ricerca – commenta Giuseppe Lembo, Professore Ordinario Sapienza e Primario della
Cardiologia dell’I.R.C.C.S. Neuromed – suggerisce che in condizioni di immunodeficienza, il
nostro organismo riesce a trovare una risposta di compenso attraverso una modificazione
epigenetica reclutata dal sistema nervoso. Al di là delle implicazioni terapeutiche che questo studio
potrà aprire, agendo ad esempio farmacologicamente sul recettore β2-AdR o sulla sua metilazione,
si apre anche una prospettiva di traslare i meccanismi identificati in altri contesti in cui l’organismo
necessità di compensare una particolare condizione di immunodeficienza”.