Il film della settimana/ “Battuta di caccia” di Mikkel Norgaard (Dan)

Pietro Colagiovanni*

Ripartiamo con la nostra rubrica dedicata al mondo del cinema e rimaniamo in Nord Europa, questa volta in Danimarca.“Battuta di caccia” (in inglese “The absent one” 2014) è la riproposizione cinematografica del secondo episodio della serie dello scrittore danese Jussi Adler-Olsen sul dipartimento Q. Si tratta di una sezione investigativa specializzata in cold case, crimini archiviati o in procinto di essere archiviati dopo molti anni che vengono fatti oggetto di nuove indagini. In questo caso i fatti risalgono al 1994 e riguarda l’omicidio di una coppia di gemelli.

L’ispettore Morck (Nikolas Kaas) decide di riaprire il caso dopo che il padre delle vittime, prima di suicidarsi gli consegna una scatola contenente materiale da lui accumulato e relativo al duplice omicidio. Le indagini prendono una nuova direzione. L’ispettore si convince che il colpevole individuato all’epoca sia in realtà innocente e punta decisamente su un vicino e prestigioso college, college che educa e forma i nomi migliori dell’establishment danese.

L’ispettore, insieme al suo aiutante Assad (un sempre bravo Fares Fares) si mette alla ricerca di una testimone oculare, di cui da tempo si sono perse le tracce, l’unica che può confermare o meno la nuova pista investigativa. Da qui una serie di vicissitudini e colpi di scena, sino al inevitabile epilogo catartico. Probabilmente il romanzo di Adler Olsen parte già con una trama non a prova di bomba ma la sceneggiatura non dona grandissima credibilità alla storia, spesso semplicemente improbabile.

Ora l’improbabilità non è una richiesta specifica e necessaria nel mondo del cinema ma, per essere superata, ci vuole un valido motivo che in questo film manca. La trama non è avvincente, i ritmi sono slabbrati e asincroni, la psicologia dei personaggi poco studiata, il ruolo degli investigatori per nulla incisivo.

C’è anche una velleità politica e di denuncia delle elite e della loro arroganza che, benchè valida nelle intenzioni, non trova adeguata realizzazione filmica. Inoltre anche la fotografia, con i classici colori cupi del nord Europa anziché essere suggestiva risulta invece alquanto oppressiva.

Il film ha avuto un forte successo di pubblico, come anche il suo predecessore (“87 minuti per non morire”, sempre dello stesso regista, record di incassi per la cinematografia danese) ma resta la sensazione che, sulla spinta dello svedese Stieg Larsson, la moda del giallo celtico-scandinavo non è sempre all’altezza delle proprie ambizioni.

Voto 2,5/5

*imprenditore, giornalista, fondatore e amministratore del gruppo Terminus

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