“Come dare un senso alla Vita”, intervista alla Psicologa Antonella Petrella

Antonella Petrella è una giovane psicologa, psicoterapeuta e responsabile della comunità di recupero ed accoglienza “Figlia di Sion”. Laureata a Roma alla Sapienza nel 2006, in“Diagnosi e Riabilitazione dei Disturbi Cognitivi”, con 110 e lode. Al terzo anno di studi scopre di essere dislessica e “non stupida”. Una scoperta che le cambia la vita.
Nel 2007 apre uno studio privato di psicologia, nel 2009 nominata Consigliere dell’Ordine degli Psicologi del Molise e nel 2013 Consulente SPM Infermiera Presidiaria Prima Legione Molise poi della Scuola Allievi. Un curriculum di tutto rispetto, ma nella nostra “chiacchierata” ho scoperto con piacere non solo professionalità, ma anche umiltà e schiettezza. La sua storia mi ha incuriosita e sicuramente è una delle persone, che ti arricchisce con la sua esperienza. Ed è bello scoprire che in Molise, a Campobasso in questo caso, ci siano giovani professionalità cariche di umanità come Antonella.

Ti sei laureata seguendo l’indirizzo Diagnosi e Riabilitazione dei Disturbi Cognitivi”, affermando : è un indirizzo che o si ama o si odia, perchè?

Questo indirizzo rientra a tutti gli effetti nella facoltà di Psicologia, rilasciando a fine percorso il titolo di dottore in psicologia. Tuttavia non si occupa dello studio esclusivo delle più conosciute branche della psicologia cioè la clinica, la psicologia dello sviluppo o quella della salute ma la sua l’offerta formativa è arricchita da diverse materie quali: psicobiologia, psicofisiologia, neuroscienze cognitive e la bellissima neuropsicologia, una disciplina che studia processi cognitivi e comportamentali correlandoli ai meccanismi anatomo-­‐fisiologici a livello di sistema nervoso. Il principale metodo d’indagine utilizzato consiste nell’osservazione delle lesioni cerebrali in associazione ai deficit mentali presentati dai pazienti al fine di rilevare le correlazioni anatomo-­‐cliniche e progettare un piano di intervento che sia di riabilitazione, attivazione o potenziamento cognitivo.

Io ho frequentato la Sapienza a Roma e lì i numeri parlavano chiaro, gli iscritti all’indirizzo Clinico e di Comunità facevano lezione in un’aula magna gremita, io ed i miei 20 colleghi di studio in una piccola aula in cui lo spazio era sempre più che sufficiente… Dico con un pizzico di ironia ma anche con una certa convinzione che l’ indirizzo di studi che ho scelto, da uno studente di psicologia può essere amato o odiato perché propone un percorso che talvolta va al di là l’immagine della psicologia classica e più nota ed al contempo permette di spaziare in ambiti di ricerca e sperimentali incontrando ed integrandosi ad altre discipline non sempre ritenute affini o integrabili alla nostra.

Hai scoperto di essere dislessica, al terzo anno di università, questo cosa ha comportato? E in che maniera è cambiata la tua vita?
Si, durante una lezione di Disturbi dell’apprendimento, un insegnamento tenuto della prof. Judica e dal prof. Zoccolotti, per gli addetti ai lavori due nomi molto noti nell’ambito della materia. Quello fu uno dei giorni più belli della mia vita, un giorno che difficilmente dimenticherò.

Quel giorno ha segnato per me un grande riscatto: comprendere di essere persona come le altre. Starno a dirsi ma fino a quel momento, le mie difficoltà di lettura e scrittura mi avevano sempre fatto sentire diversa, meno valida rispetto ai miei compagni. Nessuno fino a quel momento mi aveva parlato mai di dislessia così io attribuivo, grazie ad una massiccia dose di scarsa autostima, le mie difficoltà a delle presunte carenze intellettive. Da quel giorno invece ho capito di non essere “stupida” ma solo dislessica quindi nella possibilità di utilizzare le risorse che avevo. Perché le risorse, le avevo anche io.

Quel giorno segnò un grande cambiamento, la professoressa mi accompagnò in un percorso di conoscenza e di approfondimento della dislessia, “la mia nuova compagna di viaggio”, mi diede la possibilità di frequentare La Fondazione Santa Lucia, un ospedale di Roma ad alta specializzazione e di rilievo nazionale nel settore della neuroriabilitazione, partecipando come tirocinante ad alcuni progetti di ricerca da loro condotti. La mia media ebbe una notevole impennata e riuscii a laurearmi nei termini previsti con 110 e lode.

Da quel giorno non dico più che qualcosa non era per me se prima non provo, a volte riesco, a volte no, ma provo e mi do almeno la possibilità di andare oltre gli ostacoli oggettivi o soggettivi che si possono incontrare lungo il proprio percorso di vita.

Oggi la “dislessia” come disturbo specifico dell’apprendimento, ha maggiore attenzione, cosa consiglieresti, avendo vissuto in prima persona tale condizione?Oggi la dislessia, come anche gli altri disturbi dell’apprendimento, per fortuna gode di maggiore spazio e maggiore attenzione, gli insegnanti sono informati e molto preparati, decisamente sensibili alla problematica e pronti ad andare incontro a chi per leggere e scrivere non prende l’autostrada ma si avventura nei sentieri di campagna, quindi con una modalità diversa da quella usuale o con un passo più lento rispetto agli altri. La didattica oggi tutela molto e favorisce l’integrazione piuttosto che l’esclusione dei bambini e dei ragazzi dislessici e questo è un bene. Poi ci sono numerose associazioni di genitori ed insegnanti che a livello volontario lavorano in modo infaticabile nel campo della formazione e dell’informazione. Si fa già tanto ma si può fare sempre di più e meglio, in questo caso non possiamo accontentarci ma continuare a dare il massimo.

Tuttavia se dipendesse da me io integrerei il settore clinico, quello della valutazione, e favorirei progetti di prevenzione nelle scuole.

Purtroppo per i noti problemi della nostra sanità e quelli legati alla carenza di fondi nel mondo della scuola, ci sono tempi di attesa molto lunghi per l’accesso alla valutazione clinica, carenza nell’organico e serie difficoltà nell’accogliere progetti di promozione e prevenzione che invece favorirebbero diagnosi ed interventi precoci in favore del bambino, della famiglia e della stessa scuola.

In ogni caso, in base alla mia esperienza non solo professionale ma specialmente personale, suggerirei di usare maggiore sensibilità nel rapportarsi con il prossimo in generale, non puntando subito e con troppa facilità il dito, dando etichette che possono diventare marchi indelebili nella vita delle persone ma di chiedersi il perché di un comportamento piuttosto che di un altro e cercare di andare oltre la prima e più immediata risposta che ci viene in mente.

In merito alla tua formazione, quali sono gli ambiti di cui ti occupi?

Ho avuto la fortuna di studiare diversi ambiti, di specializzarmi ed approfondire quelle materie che ritenevo essere maggiormente affini alla mia vita ed in cui sentivo di poter dare di più. All’inizio mi sono buttata in qualsiasi cosa mi capitasse a tiro, mi dicevano che è così che si comincia… forse è vero perché poi con il tempo ho cominciato a selezionare e trovare il mio posto. Oggi mi occupo di:

-Psicoterapia cognitivo interpersonale basata sulla teoria dell’attaccamento, accompagnando chi me ne fa richiesta in percorsi individuali o di coppia;
-Neuropsicologia, specialmente nel settore della valutazione delle malattia neurodegenerative della terza età, l’ Alzheimer per intenderci;
-Psicologia vocazionale, accompagnando chi decide di intraprendere un percorso di vita consacrata ed occupandomi in collaborazione con diversi enti religiosi della formazione umana dei giovani in discernimento e dei professi perpetui;
-Psicologia scolastica, fornendo consulenza, valutazione e formazione per tutte le figure che operano all’interno della scuola, insegnanti, alunni e genitori;
-Psicologia giuridica, facendo perizie tecniche in ambito psicologico, civile, penale ed ecclesiastico per conto del tribunale o delle parti in causa, collaborando con diversi studi legali della città ma non solo.

Psicologa, psicoterapeuta e responsabile della comunità di recupero ed accoglienza “Figlia di Sion”, ci parli di questa realtà?
La comunità è tra le cose più belle della mia vita è una Onlus che nasce ufficialmente nel 2007 ma che muove i primi passi molto prima, quando io e Nicola, il fondatore, insieme ad altri amici, il sabato sera andavano alla stazione Tiburtina, io vivevo a Roma allora per via dell’università, andavamo a portare qualcosa da mangiare e fare due chiacchiere con chi lì non era di passaggio, in attesa di un treno ma, ci viveva stabilmente. E’ stata un’esperienza forte che ci ha messo in discussione seriamente tanto da seminare nel cuore il desiderio di fare di più. Con un po’ di follia, ma con tanto coraggio Nicola lasciò il lavoro e decise di accogliere, dedicandosi a tempo pieno e senza alcun guadagno economico, chi non aveva più casa, famiglia, speranza….

Nacque così la prima casa vicino Isernia, poi la seconda vicino Cassino, e nel 2016 la terza a Castel di Sangro (AQ). Nell’attuale siamo una struttura di accoglienza per adulti in difficoltà, accogliamo chi ci chiede aiuto e molto spesso quelli che per svariati motivi, non sono accolti da altre strutture. Ci occupiamo, seguendo un programma basato sulla condivisione, il lavoro e la preghiera, di dipendenze patologiche: droga, alcool, gioco, dipendenza affettiva da internet, disagio sociale ed altro ancora ovviamente facciamo questo in “scienza e coscienza” in base alle nostre capacità ed inviando altrove qualora ci rendessimo conto di non essere in grado di trattare il problema. La nostra caratteristica fondamentale è che ci fidiamo della Divina Provvidenza. Non riceviamo finanziamenti pubblici, gli operatori sono gli stessi responsabili che non percepiscono alcuno stipendio, i ragazzi ospiti non sono utenti ma membri della “nostra famiglia” e non sono obbligati a pagare una retta ma qualora ne fossero nelle possibilità di contribuire in libertà con un rimborso spese minimo.

Frutto della comunità sono tanti ragazzi che riprendono in mano le redini della propria vita, ne comprendono il senso e la vivono con pienezza. Uno di loro adesso si occupa di uno sportello di ascolto a Campobasso, presso la parrocchia San Pietro ed offre il suo tempo per ascoltare chi oggi ancora è afflitto dal laccio della dipendenza ma vuole liberarsene.

Secondo la tua esperienza, quali sono i “disturbi” che maggiormente si riscontrano in Molise?

Il mio lavoro mi porta a viaggiare molto ed ho così la possibilità di conoscere realtà diverse, accumunate tuttavia dalla presenza massiccia di disturbi d’ansia, di depressione o afflitte dalla solitudine, il paradossale male del nostro tempo in cui le connessioni hanno il primato su tutto.

I sogni ad occhi aperti: svegliamoci e sogniamoli!, questo è un articolo che mi ha colpito. Spesso si dice “non smettere di sognare” ai ragazzi, ma nella realtà di oggi cosa significherebbe invece per gli adulti?
Grazie, da un po di tempo ho scoperto la bellezza della scrittura ma scrivo senza alcuna pretesa, scrivo unendo la mia esperienza personale a quella professionale, dicono che è bello leggermi e che quello che scrivo aiuta allora scrivo perché in realtà scrivere aiuta anche me. L’artico sui sogni nasce dall’ascolto di racconti pieni di sconforto, disillusione e talvolta di disperazione. Credo che l’invito a sognare valga per i giovani come per i meno giovani. I sogni non conoscono età come la speranza di un cambiamento, mi piace concludere citando Mons. Bruno Forte che in un suo discorso dice: “Non è mai troppo tardi perché ci sia un’altra possibilità, che consenta di ricominciare, rischiando per amore”.

Per approfondire la conoscenza di Antonella è on line il sito antonellapetrella.it

Mariateresa Di Lallo

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