Cucina e dintorni/ Quando il nome diventa un marchio

di Stefano Manocchio*

Di come la comunicazione abbia cambiato la cucina abbiamo già parlato diffusamente e sull’esposizione mediatica è stato detto praticamente tutto; manca ancora un’aspetto, quello legato al rapporto tra lo chef ed il cliente. Intanto il termine chef è diventato universale al punto da inglobare anche quello di cuoco, nel senso che ormai si definisce chef anche chi lavora, certamente bene, ma preparando tre/quattro pietanze della tradizione, ignorando innovazione e contaminazione. Tuttavia non è questo il punto fondamentale, quanto piuttosto una tendenza ininfluente sul discorso che farò di seguito.

Il rapporto cliente- chef (o cuoco) è mutato, nell’alto di gamma, da quando è iniziata l’usanza di diversificare, lasciando un punto di contatto con le origini. I nomi celebri e gli ‘stellati’ hanno iniziato ad esportare la propria cucina in realtà e Paesi diversi e sono diventati brand globali: man mano che aumentavano fama e riconoscimenti aumentava in proporzione il numero di locali aperti ovunque, tutti con il medesimo nome, oppure con nomi diversi ma con la definizione anagrafica collegata per generare il riconoscimento con la clientela appassionata. Ed è questo il punto. La comunicazione alimenta la conoscenza in mercati sempre più ampi, a cui segue l’apertura di nuovi ristoranti. Sappiamo che di recente Enrico Bertolini ha ‘guadagnato’ la nona stella Michelin con ben sei ristoranti comunque a suo nome, direttamente o indirettamente e che il ‘don Alfonso’ della famiglia campana Iaccarino è presente in tutti e cinque i continenti, o che i maestri francesi hanno decine di ristoranti a loro nome ovunque.

Ecco il punto: prima si andava al ristorante per vedere il cuoco/chef all’opera, per parlare con lui e vantarne la conoscenza, mentre adesso si mangia dove ci sia odore della sua classe, anche a migliaia di chilometri di distanza, sapendo che ha cucinato qualcun altro, ma della sua scuola. Si va per la pietanza, non per l’autore della stessa. Il contatto umano si sta perdendo, in maniera diversa a seconda dei casi, un po’ dappertutto e sarà sempre di più così in futuro.

LA RICETTA DELLA SETTIMANA. Cozze ripiene. Far aprire le cozze in un tegame senza condimento, ma coperto, poi scolarle e conservare il liquido emesso dalla cottura, dopo averlo opportunamente filtrato. In una terrina battere l’uovo e aggiungere mollica di pane sbriciolato, pezzi di prosciutto crudo e formaggio e creare un composto e aggiungere trito di aglio, prezzemolo peperoncino e sale. Con il composto riempire le cozze, chiuderle e legarle con filo da cucina. Versare l’olio in una casseruola, con aglio e peperoncino, aggiungere pomodori pelati già schiacciati e trito di prezzemolo e far cuocere per cinque minuti, poi unire le cozze la loro acqua di cottura e far cuocere per 15 minuti, poi servire in tavola.

*giornalista appassionato di cucina

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