Piano Paesaggistico regionale atteso da 20 anni. Manzo: strumento fondamentale per evitare il saccheggio del territorio


Quando si parla di Piano paesaggistico regionale mi torna alla mente un tormentone musicale: ‘Parole, parole, parole…’. Un ritornello che dura ormai da circa due decenni e che sembra non cambiare spartito con l’attuale governo regionale, incapace di scelte programmatiche di lungo respiro. Eppure – afferma la consigliera regionale Patrizia Manzo – il tema del paesaggio è cruciale, soprattutto in una regione come la nostra, che mira ad essere riconosciuta tra le mete italiane che fanno del territorio incontaminato il proprio principale vettore turistico.


L’assenza di un piano paesaggistico si traduce nel privare il nostro territorio dello strumento attraverso cui la Regione definisce gli indirizzi e i criteri relativi alla tutela, alla pianificazione, al recupero e alla valorizzazione del paesaggio e ai relativi interventi di gestione. Nei fatti, significa negare ai cittadini uno di quei pochi mezzi necessari ad impedire il saccheggio del territorio, che prosegue indisturbato sottoforma di ‘sviluppo’.


L’esempio – continua la consigliera del M5S – è sotto gli occhi di tutti: il progetto di parco eolico tra Campomarino e Portocannone prevede ben cinque torri eoliche alte circa 200 metri, con pale lunghe in media 80 metri ed un peso che oscilla intorno alle 200 tonnellate. Torri imponenti, dunque, incastrate e mantenute a terra da enormi piattaforme di cemento armato, da piazzare a ridosso del tratturo del Re o tratturo Magno, il più lungo ed importante tra i tratturi italiani. Le due amministrazioni comunali interessate sono state costrette ad ufficializzare la loro contrarietà emanando delibere ostative.


Convertirsi allo sviluppo sostenibile attraverso la produzione di energia da fonti rinnovabili è sì necessario, ma deve essere l’ente Regione, tramite l’approvazione di un piano paesaggistico, a decidere dove possono essere posizionati gli impianti. Quando la Regione tace, l’opportunismo dei privati per la nuova ‘green economy’ ha carta bianca. Ma la legge a tutela del territorio è chiara ed è perciò opportuno ripassarla insieme.

L’Italia fu il primo Paese al mondo a mettere il paesaggio tra i principi fondamentali dello Stato. Infatti, l’articolo 9 della Costituzione recita: <<La Repubblica promuove lo sviluppo e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione>>. Con la riforma del Titolo V, poi, la tutela del paesaggio passò alle Regioni.
La normativa nazionale di riferimento è il ‘Codice dei beni culturali e del paesaggio’ (D.lgs. 42 del 2004), che attua il precetto costituzionale e non ammette varianti interpretative: <<Le regioni assicurano che il paesaggio sia adeguatamente tutelato e valorizzato. A tal fine sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio, approvando piani paesaggistici ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, concernenti l’intero territorio regionale, entrambi di seguito denominati “piani paesaggistici”. Il piano paesaggistico – continua il Codice – definisce (…) le trasformazioni compatibili con i valori paesaggistici, le azioni di recupero e riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela, nonché gli interventi di valorizzazione del paesaggio, anche in relazione alle prospettive di sviluppo sostenibile>>.


Negli anni sono stati prodotti diversi gli atti per la tutela e la valorizzazione del paesaggio, a livello internazionale, nazionale e delle singole regioni. Il faro di riferimento è sempre stato un principio sacrosanto: il vincolo paesaggistico si pone sull’utilizzazione dei beni, non permette la loro commercializzazione. In altre parole, il paesaggio non è un bene in vendita. È stata ratificata con legge dello stato la Convenzione europea del paesaggio, sono stati presi accordi tra lo Stato e le Regioni sull’esercizio dei poteri in questo delicato ambito. Non da ultimo, un decreto obbliga le Regioni alla redazione di un piano paesaggistico che tuteli il territorio e le sue bellezze.


Cos’è successo in Molise dopo quell’importante atto normativo? Con eccessiva lentezza, sono state emanate delibere di consiglio – dietro mio impulso – e di giunta, è stato stipulato un protocollo d’intesa con il Mibact e sottoscritta una convenzione con l’università per l’elaborazione del piano. Ma è finita qui, con mere dichiarazioni d’intento: dopo circa venti anni di rimandi, di stalli e inefficienze, infatti, siamo ancora colpevolmente inadempienti. Non c’è traccia del Piano paesaggistico regionale.


Sia ben chiaro, – conclude la Manzo – quando si parla di paesaggio non ci si deve limitare a considerare solo un particolare ambiente caratterizzato da un eccezionale grado di bellezza, ma l’ambiente in cui l’uomo vive e lavora. Infatti, la protezione dell’ambiente non deve perseguire finalità teoriche ma deve esprimere, secondo la sentenza della Corte costituzionale 641 del 1987, <<l’esigenza di un habitat naturale nel quale l’uomo vive e agisce e che è necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini>>.


Se il Molise conserva ancora la sua essenza paesaggistica, che cattura l’anima di tutti coloro che lo visitano e lo vivono, è dunque solo grazie alle lotte di resistenza civica promosse e messe in atto da movimenti spontanei di cittadini. La politica tace.

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