Va risarcito il dipendente che lavora nei giorni festivi senza riposo compensativo

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza del 13 ottobre 2015 n. 21225/2015 precisa che; il riposo non fruito dopo sei giorni di lavoro rappresenta un danno da usura psico-fisica per il lavoratore. Il dipendente che lavora nei giorni festivi, senza godere dei riposi compensativi, deve essere remunerato con una maggiorazione contrattualmente prevista sul lavoro domenicale svolto e per i giorni di riposo compensativo non fruiti.  La mancata fruizione del riposo dopo sei giorni di lavoro rappresenta danno da usura psico-fisica, distinto dall’ulteriore ed eventuale danno alla salute o danno biologico che si concretizza, invece, in un’infermità del lavoratore determinata dall’attività “usurante” svolta in conseguenza del lavoro continuo a cui non seguono riposi settimanali.
Per i giudici di Cassazione ai sensi dell’art. 17 del d.p.r. n. 268/1987, al lavoratore spetta la maggiorazione del 20% per il lavoro svolto di domenica, nonché la retribuzione per i giorni di riposo compensativi non fruiti.
La norma svolge una funzione retributiva-corrispettiva e non anche risarcitoria, ma comunque al lavoratore spetta il risarcimento del danno da usura psico-fisica per il mancato godimento dei riposi compensativi, liquidati ex art. 1226 c.c. Per gli Ermellini “una cosa è la definitiva perdita del riposo, agli effetti sia dell’obbligazione retributiva che del risarcimento del danno per lesione di un diritto della persona, altra il semplice ritardo della pausa di riposo.
In questa seconda ipotesi, poiché la legge (salvo deroghe) impone la concessione di un giorno di riposo dopo sei di lavoro, il compenso avrà natura retributiva ex art. 2126 c.c., comma due, fatto salvo il risarcimento del danno subito per effetto del comportamento del datore di lavoro stante un pregiudizio del diritto alla salute o di altro diritto avente natura personale.
A sua volta, è da tenersi distinto il danno da usura psico-fisica, dal danno alla salute o biologico, poiché, in questo secondo caso, concretizzandosi in una infermità del lavoratore, non può desumersi presuntivamente, ma va dimostrato sia nella sua esistenza sia nel suo nesso eziologico.
Corretta la determinazione della Corte d’Appello e da condividere l’affermazione secondo cui il riposo dopo sei giorni di lavoro consecutivo costituisce un diritto irrinunciabile del dipendente, garantito dall’art. 36 Cost. e dall’art. 2109 c.c. Inoltre, “corrisponde ad una nozione di comune esperienza che l’attività lavorativa, come qualsiasi impegno delle energie psicofisiche, se protratta senza interruzioni, risulta via via più onerosa con il trascorrere delle giornate e il riposo che sopraggiunge dopo un arco di tempo più ampio rispetto alla normale cadenza settimanale non può, di per sé, compensare tale crescente disagio”.
Il ricorso è rigettato e il ricorrente è condannato al pagamento delle spese del giudizio.
Alfredo Magnifico

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