Quale rappresentanza del lavoro nel futuro; sfide e risposte possibili

In questo articolo cerco di individuare una ipotetica dimensione organizzativa e strategica del sindacato nell’attuale contesto economico, politico, antropologico, del mercato del lavoro e delle relazioni industriali.

Attraverso un dialogo tra passato, presente e futuro, cercherò di affrontare la suggestione del “sindacato di strada” proposto da Landini tema antico, di organizzazione dei “senza potere” e la questione della sussidiarietà e della partecipazione, in rapporto a  welfare e rappresentanza proposta dalla CISL.

Sono stato un sindacalista sul marciapiede, così, come venivamo definiti noi giovani attivisti che battevamo le strade delle aziende andando a supportare i delegati sindacali con visite pressochè quotidiane, incontrando i lavoratori sul territorio, nelle strade, nei quartieri, nelle aziende piccole e grandi del commercio, del turismo e dei servizi.

Da sempre nel sindacato, sono convissute due realtà: quella del sindacato verticale, di categoria, organizzato per professioni e settori di lavoro, e il sindacato orizzontale, quello delle Camere del lavoro, presente sul territorio, anche con attività mutualistiche e solidaristiche.

Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta del Novecento furono Giorgio Benvenuto, definendo la Uil come “sindacato dei cittadini” e Bruno Trentin, ponendo alla Cgil l’obiettivo di essere un “sindacato dei diritti e della libertà”, a rilanciare questo dibattito.

Poi il sindacato di strada è diventato burocratico e consociativo, si è “ministerializzato”, cadendo in dinamiche corporative e residuali.

Oggi la situazione è precipitata; milioni di lavoratori  sono precari, lavorano in piccole e microimprese e si incontrano solo sulla strada, la centralità del lavoro non è più quella di una volta.

Le identità sociali non si esauriscono nell’orario di lavoro, ma investono i temi fondamentali della cittadinanza e del tempo liberato dal lavoro.

Il lavoro è sempre più frammentato, intermittente, incerto, in un’epoca che trasforma le condizioni esistenziali delle persone: la precarietà del lavoro diventa precarietà esistenziale e lo stesso reddito potrebbe essere legato, in un futuro non troppo lontano, non solo al lavoro, ma anche alla qualità di cittadino o all’esercizio di attività sociali e civiche.

I tempi di vita si sovrappongono e si intrecciano: non più separazione netta e rigida tra tempo di lavoro e tempo libero, ma una disponibilità al lavoro retribuito durante tutto l’arco della giornata: una connessione intermittente, ma permanente con i propri datori di lavori e colleghi, con i tempi di produzione e di riproduzione, che si confondono.

Negli anni del neoliberismo, l’attacco rivolto a ridurre il potere di contrattazione del sindacato nei luoghi di lavoro è stato costante e durissimo. Questo ha portato a rendere più indifesi i lavoratori e i risultati si sono visti: salari più bassi, più precarietà, con il mercato del lavoro che è diventato un mercato dei lavoratori.

Forse un sindacato di strada servirebbe a ricollocare il ruolo delle organizzazioni dei lavoratori di fronte alle sfide nuove della globalizzazione, della deregolazione e svalorizzazione del lavoro.

La strada dovrebbe rappresentare il punto di incontro di diverse sensibilità: la lotta per il miglioramento delle condizioni materiali dei lavoratori e la prospettiva politica di un cambiamento generale, la concretezza dell’azione nella difesa degli interessi dei singoli e la radicalità delle proposte per la realizzazione dell’interesse collettivo, la democrazia e l’orizzontalità dell’organizzazione del sindacato.

Guardando al futuro, occorre ripensare e rivalutare la storia del sindacato, quella precedente alla mia esperienza seppe fare innovazione sociale, dando vita alle mutue di solidarietà, al movimento cooperativo dei braccianti e degli artigiani, alle Camere del lavoro, alle Casse rurali, ad una idea di sindacato fondato sulla confederalità, quella che ho vissuto seppe dare diritti, contrattazione e conquiste sociali.

Un sindacato che rivendicava e che faceva resistenza ai padroni (solidarietà contro), ma che costruiva pratiche di mutuo appoggio (solidarietà per), forme nuove di cittadinanza sociale e civica capace di dare identità collettiva e di costruire pratiche inedite di emancipazione, grazie all’auto-organizzazione e ad una democrazia dal basso contro le forme verticali e gerarchiche connaturate ad ogni organizzazione tradizionale.

Quella storia costituirebbe la modernità che il sindacato ha davanti a sé, se vuole ridarsi forza e rilanciarsi.

Ritornerei a quanto diceva Giulio Pastore, nel 1951 al primo Congresso nazionale della Cisl: «Non abbiamo niente dietro di noi. Non partiti, non movimenti ideologici, non abbiamo neanche una tradizione (…) Dobbiamo creare tutto dal nuovo».

Oggi la strada è questa abbandonare le marchette, lasciarsi dietro le divisioni ideologiche, riprendere un’attività che tenga conto della reale condizione dei lavoratori, da qui rimettere insieme i cocci e ripartire a testa bassa per riportare il lavoro al centro della società, facendo recuperare ai lavoratori quella dignità che la politica e il capitale gli hanno demolito.

Alfredo Magnifico

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