Prima lettura della Cassazione su Jobs Act e art.18

Il Jobs Act non ha ridotto lo spazio per l’applicazione della tutela reintegratoria del lavoratore, la Cassazione ha fornito una prima interpretazione il 13 ottobre 2015, ed ha lanciato un messaggio chiaro ed incontrovertibile sull’applicazione dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, dopo i cambiamenti del Jobs Act, in particolare dopo quelli apportati dal decreto che ha disciplinato il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. La Corte di Cassazione si è pronunciata nell’ambito della sentenza n.20540, che riguardava un licenziamento disciplinare sottoposto alla “Legge Fornero” (Legge n. 92/2012).
Una dipendente veniva licenziata poiché rea di aver accusato l’Amministratore delegato della società di essere una persona scorretta, di essersi rifiutata di discutere con il direttore finanziario sulla sua posizione pretendendo di parlare direttamente con l’Amministratore Delegato, di aver segnalato ad un dirigente della società l’intenzione dell’amministratore delegato di cambiare posto di lavoro e di essersi opposta alla restituzione del telefono portatile aziendale.
La società datrice di lavoro, soccombente nei primi gradi di giudizio, ricorreva in Cassazione sostenendo che la tutela reintegratoria di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori non era invocabile in presenza dei fatti contestati alla lavoratrice.
Secondo la Corte i comportamenti tenuti dalla dipendente non contrastavano con la disciplina d’impresa, poiché l’informazione sull’eventuale passaggio dell’amministratore delegato ad altra società era una notizia appresa direttamente dalla dipendente e non mediante un accesso non autorizzato; l’accusa di essersi rifiutata di riconsegnare l’apparecchio telefonico si era rivelata infondata e la pretesa di parlare con l’AD della sua situazione era motivata dalla maggiore confidenza instauratasi tra i due e l’atteggiamento “persecutorio e vendicativo” della lavoratrice verso l’amministratore delegato, motivato da ragioni personali, non assumeva rilievo in sede disciplinare.
I giudizi della suprema Corte di Cassazione definiscono tali comportamenti contrari alla buona educazione, ma non gravi da incidere negativamente sull’attività aziendale e pertanto deducono che la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale e da perciò luogo alla reintegrazione ai sensi dell’art. 18”.
Con il riferimento alla insussistenza «materiale» del fatto porta la Corte a lanciare un messaggio sulla riforma della disciplina del licenziamento post Jobs Act, per cui la tutela dell’art. 18 è prevista nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo o giusta causa intimato nonostante l’“insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore”.
Di tale aggettivo (materiale) nella Legge Fornero, su cui la Corte era chiamata a decidere nel caso di specie, non c’è traccia. Questa norma infatti prevede che il reintegro del lavoratore avviene solo in caso di “insussistenza del fatto contestato” o di “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” (oltre che per il discriminatorio).
E proprio sul quell’aggettivo “materiale”, aggiunto all’impianto del Jobs Act rispetto alle Legge Fornero, si era concentrata l’attenzione di chi temeva licenziamenti più facili in forza della nuova norma.
Con questa pronuncia, la Cassazione fornisce una prima interpretazione sulla disciplina del licenziamento (anche se con riferimento alla Legge Fornero) dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 23/2015 (tutele crescenti): la reintegrazione nel posto di lavoro prevista dall’art. 18 della Legge n.300/1970 sarà sempre invocabile se il licenziamento è fondato, non solo su fatti insussistenti, ma anche su fatti sussistenti e non illeciti, ovvero equivalenti agli “insussistenti”, e quindi per scongiurarla non sarà sufficiente contestare al dipendente un fatto materiale, anche se di scarsa importanza.
Alfredo Magnifico

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