Le nuove misure contro il caporalato non convincono

Il caporalato torna al centro delle discussioni istituzionali con la proposta di inasprimento della legge per combatterlo dei ministri Martina e Orlandi, vorrebbero introdurre nuove misure che prevedono la confisca dei beni per chi sfrutta i lavoratori (come avviene per i mafiosi) commettendo il reato di caporalato (con l’introduzione del reato di intermediazione illecita) ed inoltre, la responsabilità in solido di chi ha anche tratto vantaggio in modo indiretto dal lavoro di quella manodopera sfruttata.
Per la Caritas, inasprire le pene rappresenta un provvedimento di breve durata, non basta colpire i ‘caporali’ o i datori di lavoro disonesti, serve innanzitutto “creare una cultura della legalità ” intervenendo a vari livelli, per dare la forza ai lavoratori di denunciare.
Il governo si sensibilizza sporadicamente, dopo qualche tragedia, queste situazioni di riduzione in schiavitù , si conoscono da sempre.
I braccianti stranieri vivono il più delle volte in baraccopoli o in vecchie stalle, spesso accompagnati anche dalle famiglie, vivono in condizioni igieniche inaccettabili, sotto tende di plastica e fogne a cielo aperto. Rosarno in Calabria, Nardò in Puglia, Villa Literno.
C’è una cultura diffusa di questo fenomeno che non desta allarme sociale ma viene vissuto quasi come la normalità dovrebbero essere mandati gli ispettori a verificare certe condizioni.
Sono azzardate stime su quanti siano i lavoratori vittime del caporalato e non si riesce a rilevare i morti che possono avvenire sui campi ma anche nelle baraccopoli, dopo lo stress accumulato durante il giorno. E’ impossibile fare un censimento dei morti ‘invisibili’, ma sono tanti.

Alfredo Magnifico

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