Donne “segregate”: sempre gli stessi lavori

Dai dati di una ricerca Istat “Donne al lavoro, verso la parità di genere”, risulta che l’occupazione femminile è concentrata in 21 professioni, quella maschile in 51, vuol dire che le donne sono sempre più presenti nelle attività già storicamente femminilizzate.

Le più giovani stanno facendo progressi, ma il gap è ancora molto ampio, “Segregazione professionale orizzontale”, così si chiama, negli ultimi anni è in costante aumento.

Nel 2023 l’attività di donne occupate o in cerca di occupazione fra i 15 e i 64 anni ha raggiunto il 57,7%, mentre negli anni Settanta era di poco superiore al 30%, comunque l’Italia risulta all’ultimo posto per tasso di occupazione femminile, mentre le tedesche, le olandesi e le finlandesi ci staccano di almeno 20 punti, le francesi di oltre dieci, le spagnole di otto, mentre l’Italia è più allineata a Grecia e Romania, ma siamo comunque dietro di loro.

Le donne italiane soggette a un part-time involontario sono il triplo degli uomini, quelle che possono contare sul lavoro standard perché dipendenti a tempo indeterminato e full-time, oppure autonome con dipendenti, sono poco più della metà delle occupate, mentre hanno un lavoro standard circa il 70% degli uomini, le più vulnerabili sono le giovani, residenti nel Mezzogiorno, con bassa istruzione e cittadinanza straniera.

Alla base della discriminazione delle donne nella società e nel lavoro è quel modello culturale che le vuole naturalmente inclini alla famiglia e alla cura, un modello così radicato ha bisogno di interventi strutturali, a partire dai modelli formativi fino a meccanismi come i congedi paritari di genitorialità.

Con i vari incentivi o i bonus maternità, tanto cari ai  governi, o con un sistema di certificazione di genere che non ha raccolto le indicazioni delle lavoratrici e di chi le rappresenta, si fa poco, la vera strada per una società paritaria è il cambiamento culturale.

Lo studio Istat evidenzia che nelle professioni specialistico-intellettuali si riscontra una prevalenza femminile in quelle legate alla formazione, come maestre di scuola pre primaria e primaria, insegnanti di discipline umanistiche nella secondaria superiore e insegnanti di sostegno.

Le donne ingegnere e architette sono poco meno di un quarto, mentre, nel campo delle scienze matematiche, chimiche, fisiche e naturali, rappresentano un terzo degli occupati, nel settore delle scienze informatiche e tecnologiche le donne occupate sono meno del 18%.

Le le più giovani stanno facendo progressi negli ambiti storicamente meno femminili, anche se il gap rimane ed è ampio, nelle professioni in ambito Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) le donne tra i 25 e i 39 anni sono più rappresentate di quelle della generazione di 55-69 anni , la distanza è di circa dieci punti.

Tra le professioni altamente qualificate che vedono un avanzamento importante della presenza femminile ci sono le dirigenti della pubblica amministrazione e i medici, invece le professioni socio sanitarie e infermieristiche sono fra quelle a forte prevalenza femminile.

Nel 2022 il 56% dei dirigenti medici del Servizio sanitario nazionale erano donne: le responsabili di struttura semplice sono soltanto il 38%, le responsabili di struttura complessa (i cosiddetti “primari”) sono appena il 21% tra i magistrati: nel marzo 2024 le donne superano il 58%, mentre la quota di quelle con ruoli direttivi scendeva sotto al 30%.

Nel Parlamento italiano le donne sono circa un terzo, sostanzialmente in linea con l’Europa, ma comunque distante dai Paesi nordici (in Islanda, Finlandia e Svezia le parlamentari sono il 46-47%, nel dicembre 2024 c’era un solo presidente di Regione donna, due sole donne tra i sindaci dei Comuni capoluogo e nessuna donna alla guida di una Città metropolitana.

Meno di un terzo delle aziende è a conduzione femminile, per di più in larga parte concentrate in determinati settori, maggiore equilibrio di genere si riscontra nelle imprese di servizi e in quelle che operano nella sanità, nell’assistenza sociale e nell’istruzione, nelle imprese industriali, meno di una su cinque è a guida femminile.

Nelle società quotate in borsa, dove c’è stato un intervento normativo per la parità di genere, i Consigli di amministrazione presentano un discreto equilibrio di genere, ma a livello di amministratori delegati le donne non arrivano al 3%, mentre la media europea è prossima all’8%.

Alfredo Magnifico

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