Di Lisa: La riforma del catasto, una questione di equità

L’attuale sistema del catasto italiano è stato pensato quasi 70 anni fa ed è rimasto
sostanzialmente invariato nel corso degli anni. L’idea era quella di determinare un
reddito del singolo immobile, attraverso la “rendita catastale”, ovvero il
valore  reddituale che il catasto attribuisce per scopi fiscali a un immobile che può
generare reddito che si calcola tenendo conto della grandezza dell’immobile (il
numero dei vani delle abitazioni), della sua destinazione d’uso e della zona in cui si
trova.

La rendita catastale dovrebbe equivalere al cosiddetto “affitto imputato”, ossia
all’affitto che un proprietario riceverebbe se decidesse di locare il suo immobile,
principio che però non si traduce nella pratica, perché oggi il valore delle rendite
catastali non corrisponde a quello degli affitti imputati. Nel corso del tempo si è persa
la corrispondenza tra le rendite catastali sia di case simili tra di loro, per esempio di
uguale pregio, sia di case diverse tra di loro: pensiamo per un attimo alla rendita
catastale di un appartamento ubicato in una zona centrale di una grande città, abitato
mediamente da persone benestanti o ricche, che ha una rendita più bassa rispetto ad
un immobile della stessa ampiezza situato in estrema periferia, abitato di solito da
persone meno ricche, accatastato più di recente.

Pertanto, l’attuale sistema delle rendite catastali genera forti incongruenze, che in
genere favoriscono le persone più ricche, poiché il calcolo dell’IMU avviene con le
stesse modalità per tutte le case.


A cascata il disallineamento delle rendite catastali crea anche un secondo problema
perché esse sono utilizzate anche per calcolare la base imponibile di altre imposte,
come quelle sulle  eredità  o l’ acquisto di immobili , o per quantificare l’Indicatore
della situazione economica equivalente ( Isee ) delle famiglie.


Che l’attuale sistema catastale italiano sia iniquo e inefficiente, con conseguenze per
gran parte della popolazione, è perciò sotto gli occhi di tutti.

Con un catasto riformato, le abitazioni nella stessa zona, se di grandezza e di pregio
simile, avrebbero lo stesso prezzo di mercato e quindi la stessa base su cui calcolare
le imposte sul patrimonio. In più, si ridurrebbero le incongruenze attuali, per
esempio, tra le abitazioni ubicate in periferia e quelle ubicate nei centri delle città.


Eppure la riforma del catasto divide la politica ed è guardata con sospetto dai più,
forse perché si ha il timore che essa porterà con sé un aumento delle imposte
nonostante anche chi la propone, e lo stesso Presidente del Consiglio, dichiarino che
sarà una riforma a parità di gettito. Concordo sulla parità di gettito ma non capisco, e
non condivido, però Draghi quando sostiene che nessuno pagherà di più, perché ci
sono situazioni in cui cittadini stanno pagando di più di quello che dovrebbero pagare
e altri meno, rispetto ad un catasto aggiornato.

L’obiettivo della parità di gettito non può e non deve significare che tutti
continueranno a pagare quanto pagano adesso, perché in questo modo non verrebbe
risolto il problema di un sistema iniquo. Se così fosse, perché fare la riforma?
Il catasto attuale é macroscopicamente più ingiusto soprattutto per quei cittadini
possessori di immobili nei piccolissimi comuni delle aree interne, comuni falcidiati
dallo spopolamento nei quali spesso ereditare una casa equivale ad una sorta di
“disgrazia”.

Comuni nei quali esiste un patrimonio edilizio in gran parte inutilizzato e
disabitato, dove vengono messe in vendita case al prezzo simbolico di 1 (uno) euro,
dove immobili costruiti con immani sacrifici non hanno alcun valore commerciale e
sui quali gravano tasse che molti non sono in grado di pagare. Non dobbiamo
dimenticare che sugli immobili oltre all’IMU gravano altri tributi quali la TARI, la
bolletta per l’energia per non residenti, che è a dir poco esorbitante.


Perché allora gli amministratori di questi piccoli comuni non si organizzano e fanno
sentire la propria voce, anche attraverso ANCI e Lega per le Autonomie Locali, per
chiedere alle forze politiche ed al Parlamento una riforma che tenga conto di questa
situazione profondamente ingiusta?


Sono stato amministratore e perciò non mi sfugge il fatto che rivedendo le basi
imponibili al ribasso, in questi piccoli comuni si ridurrebbe sensibilmente il gettito
IMU rispetto ad oggi. Ma dalla riforma ci saranno certamente comuni nei quali il
gettito aumenterà.


Per garantire pari entrate per la erogazione dei servizi ai cittadini ai piccoli comuni
che da questa operazione perderanno gettito, vanno introdotti meccanismi
compensativi, ovvero maggiori trasferimenti dallo Stato, da finanziare con il
maggiore gettito di quei comuni che dalla riforma del catasto ci guadagneranno.

Domenico Di Lisa

Commenti Facebook