Conviene investire in parità di genere? Le aziende guidate dalle donne conseguono migliori risultati

Diversi report da McKinsey, a Peterson Institute for International Economics ,al Rosenberg Equities sottolineano come le società il cui management è per il 25% in parità di genere abbiano tra il15 e il 21% di possibilità in più di conseguire maggiori profitti, le società “al femminile” risultano più stabili durante i cali di Borsa come avvenne in corrispondenza del crollo successivo al fallimento di Lehman Brothers nel settembre 2008.

L’analisi di Rosenberg Equities dimostra come società ad “alta parità” sono quelle con migliori prospettive di profittabilità futura e una minore “deviazione standard” delle società in rosa, poiché le donne non amano il rischio.

Dal Forum per la Finanza Sostenibile, avvalorato dalla Doxa emerge che solo il 5% delle donne sceglie prodotti finanziari a rischio elevato, contro il 12% degli uomini, mentre il sondaggio AXA IM a GFK su un campione di mille persone (equamente diviso tra i due generi) con reddito di almeno 37mila euro l’anno: solo il 6% delle donne è disposto ad esporsi al rischio d’investimento, contro il 17% degli uomini.

Il problema del divario esistente tra uomini e donne è legato ad una cultura ancorata a modelli del passato: “la donna deve rinunciare alla carriera per il bene della famiglia.”

Nel mercato del lavoro, la donna parte più svantaggiata nei confronti di un uomo, a parità di istruzione e conoscenza: “si assenterà dal lavoro di più a causa dei figli, per cui conviene investire sulla formazione di un uomo”. Al nord c’è un maggiore sforzo a contrastare i vecchi modelli con più apertura all’uguaglianza di genere e alla parità, al sud le condizioni rimangono ancorate al passato.

L’Italia è il penultimo Paese Ue per donne occupate, appena il 52,5%, nel mezzogiorno, circa il 30% delle donne tra i 15 e i 64 anni sono occupate, la maglia nera spetta alla Sicilia con il 29,2 per cento, poi Campania, 29,4; Calabria, 30,2; e Puglia, 32.

Una cultura, ancora troppo maschilista, aggrava la situazione della partecipazione femminile insieme all’incapacità politica di conciliare la vita lavorativa alla familiare, causando incertezza economica e rigidità nei comportamenti sociali, l’emancipazione femminile e il riconoscimento della parità di genere, non sarà una vittoria delle donne per le donne, ma una vittoria per lo sviluppo sociale ed economico di tutti; la discriminazione porta inefficienza e non conviene a nessuno

Questo comportamento è ingiusto ,una donna che ha la stessa produttività dell’uomo con cui compete per il posto di lavoro non sarà assunta per la sua appartenenza di genere, mentre ogni persona ha diritto ad essere valutata esclusivamente sulla base del proprio merito individuale, questa situazione tende a permanere invariata nel tempo, le conseguenze del comportamento discriminante sono tali da confermare automaticamente le convinzioni che lo hanno determinato, quando hanno la fortuna di essere assunte, le donne si confrontano con una struttura di incentivi che premia il tempo più che il talento, e teme la maternità più della mediocrità.

Alfredo Magnifico

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