Cassazione: No allo svago per chi usufruisce dei permessi della Legge 104

La Cassazione, nella recente sentenza n. 8784/2015 stabilisce che; rappresenta un disvalore sociale il comportamento del lavoratore che, invece di assistere il disabile, sfrutta i permessi per proprie esigenze personali e ribadisce che non sono affatto rari, anzi rappresentano un malcostume diffuso nel nostro Paese, gli abusi di chi usufruisce del diritto concesso per dedicarsi ad attività di ozio o svago, gite fuori porta e molti altri comportamenti fuori dai confini per cui la legge concede di assentarsi dal lavoro. Più volte la Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi nei confronti di lavoratori che dedicavano il permesso per fare qualcosa che nulla aveva a che vedere con l’assistenza, assumendo una posizione rigida e confermando addirittura il licenziamento del dipendente, come è avvenuto, anche, nella sentenza n. 8784/2015 con cui i giudici della sezione lavoro hanno confermato il licenziamento nei confronti di un dipendente che, durante la fruizione del permesso per assistere la madre disabile grave, aveva partecipato ad una serata danzante. Questo comportamento, secondo la cassazione, rappresenta “un disvalore sociale” in quanto il lavoratore, usufruendo del permesso per soddisfare proprie esigenze personali, scarica il costo di tali esigenze sull’intera collettività: ciò avviene in quanto i permessi vengono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, poi sollevato dall’ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi; inoltre, un simile comportamento costringe il datore di lavoro ad organizzare diversamente il lavoro in azienda in base a ogni permesso richiesto, facendo gravare sui “compagni” di lavoro del dipendente assente, che lo devono sostituire, una maggiore penosità della prestazione lavorativa. Per tali ragioni questo comportamento integra gli estremi dell’abuso del diritto e il licenziamento appare legittimo in quanto irrogato per sanzionare condotte del lavoratore che violano norme penali o contrastano con il cd. “minimo etico”. A nulla servono le giustificazioni del lavoratore che sostiene di aver trascorso la maggior parte del tempo concessogli per assistere il genitore disabile e di aver dedicato sola la residua parte al proprio svago, poiché comunque avrebbe usufruito di una parte di questo permesso per finalità diverse da quelle a cui lo stesso permesso mira.La cassazione conclude precisando che le prove emerse a seguito di indagini investigative possono costituire la base di un licenziamento per giusta causa del dipendente, essendo venuto meno il rapporto fiduciario che è alla base del contratto di lavoro stesso.
Alfredo Magnifico

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