Calo delle nascite e salari miseri mettono a rischio la tenuta dell’Italia

Il Rapporto Istat 2024 evidenzia gravi problemi nella società italiana, li snocciola in quattro capitoli; andamento economico, trasformazioni demografiche, differenze intergenerazionali, impatto dei cambiamenti economici e sociali sulle caratteristiche della popolazione.

Dopo il Covid-19, la crescita economica ha consentito di superare i livelli di produzione del febbraio 2020, anche se prosegue a rilento (+0,7%), in linea con la media europea.

L’impatto negativo sugli scambi commerciali generati dalle crisi internazionali sono stati compensati dal positivo andamento dei consumi delle famiglie (+0,6%), supportati dalla crescita del numero degli occupati e dal parziale recupero della perdita del potere d’acquisto dei salari, rispetto ai tassi di inflazione registrati nell’ultimo triennio dovuto al rinnovo dei contratti collettivi.

Nonostante ciò, i salari reali dei lavoratori dipendenti rimangono ancora distanti rispetto al valore del 2021 (-4,5%).

La crescita degli occupati, +450 mila nel primo trimestre del 2025 rispetto allo stesso periodo del 2024, ha visto raggiungere il record storico di occupati (24,9 milioni) e con un tasso di occupazione (63%), aumentati anche gli occupati a tempo indeterminato e a tempo pieno.

Il tasso di occupazione rimane, però, distante dalla media dei Paesi europei (-8,7%) per effetto degli squilibri interni relativi alle caratteristiche di genere -17,8% delle donne rispetto agli uomini) e di territorio -20,4% nel Mezzogiorno rispetto al Nord Italia.

Rimane rilevante la quota dei posti di lavoro più vulnerabili per un terzo dei giovani occupati e per un quarto delle donne che lavorano.

La crescita dell’occupazione con tassi superiori a quelli del Pil comporta, in negativo, una riduzione della produttività del lavoro (-0,9%) e di quella di tutti i fattori (-1,3%), a causa dello scarso utilizzo delle tecnologie digitali in molti dei settori dei servizi e nelle piccole e micro imprese che hanno contribuito in modo significativo alla crescita dei posti di lavoro, che si associa alla quota ridotta della domanda di lavoro rivolta ai giovani laureati.

I livelli di istruzione della popolazione crescono, aumenta la quota dei laureati e dei diplomati, crescono le competenze cognitive e digitali, anche se parecchio distanti dalle medie dei Paesi sviluppati.

29 milioni di lavoratori tra il 2011 e il 2022 hanno fatto corsi formativi, con finalità di migliorare le dinamiche salariali e le condizioni di lavoro, più coinvolte; le zone del Centro e del Nord e i settori industria e Pubblica amministrazione.

Il ricambio generazionale, sul lavoro, risulta finalizzato all’utilizzo di nuove tecnologie e professioni tecnico scientifiche.

Dopo 11 anni di riduzione della popolazione, il numero di residenti, circa 59 milioni, rimane quasi invariato, grazie al saldo positivo di immigrati che compensano l’esodo dei nostri connazionali, soprattutto giovani laureati, verso l’estero (190 mila) e il saldo negativo tra decessi e nuove nascite.

Le nascite segnano l’ennesimo record negativo, 370 mila (-200 mila rispetto al 2008), l’aspettativa di vita ritorna ai livelli pre Covid.

La crescita della popolazione risulta compromessa da tre fattori: la riduzione demografica delle donne fertili, il cambiamento degli stili di vita e la progressiva destrutturazione dei nuclei familiari stabili.

Si riduce il numero delle coppie con almeno un figlio (28,2%), e aumenta l’incidenza sul totale (41%) dei nuclei monocomposti, con un solo genitore, di coppie non coniugate, cresce, in modo esponenziale, la quota di anziani soli con più di 65 anni destinata a superare i 6 milioni nell’arco dei prossimi 15 anni.

Si riducono i livelli di solidarietà familiare, aumenta il numero di famiglie vulnerabili e di persone che riscontrano difficoltà ad accedere ai servizi indispensabili, l’aumento di longevità comporta crescita di non autosufficienti e della spesa pubblica, familiare e assistenziale, ciliegina sulla torta, cresce il numero delle persone in condizioni di povertà assoluta (5,7 milioni).

Aumenterà il numero di pensionati nei prossimi anni, poiché è in via di esaurimento il contributo produttivo delle generazioni del baby boom, con tassi di uscite pensionistiche superiori al numero dei giovani che terminati i percorsi scolastici entreranno nel mondo del lavoro, mentre il sistema delle imprese fatica a trovare lavoratori disponibili.

L’aumento delle criticità rischiano di compromettere la tenuta del tessuto produttivo e dei livelli di coesione sociale rendendo evidente  la carenza di programmi riformatori in grado di mobilitare le risorse finanziarie e i comportamenti degli attori istituzionali, sociali e delle famiglie per garantire la sostenibilità della produzione e della redistribuzione del reddito.

L’ Istat mette in evidenza le combinazioni virtuose tra investimenti in; tecnologie, competenze dei lavoratori, e crescita di produttività delle organizzazioni del lavoro, che potrebbero contribuire a generare risposte positive.

L’impatto delle dinamiche demografiche sull’economia e sulla spesa sociale fa fatica ad entrare nel dibattito politico, è un argomento che continua a essere considerato da, una politica miope come problematiche proiettate sul lungo periodo e da affidare come una sorta di promemoria ai Governi futuri.

Le riforme risultano “misure tampone” che producono effetti “scarsissimi” sul breve periodo, mentre le conseguenze destabilizzanti della demografia e delle tecnologie digitali sulla popolazione in età di lavoro procedono con una velocità largamente superiore aĺla capacità degli attori istituzionali, economici e sociali di offrire risposte adeguate.

Servono politiche coerenti, per migliorare l’utilizzo delle risorse finanziarie e riposizionare il nostro modello di sviluppo, anche se l’impiego delle tecnologie, l’aggiornamento delle competenze delle risorse umane e delle organizzazioni del lavoro, l’aumento della produttività per alimentare la crescita dei redditi da lavoro richiedono il concorso attivo degli imprenditori, dei manager, dei lavoratori e delle loro rappresentanze.

Gli ultimi 18 anni caratterizzati da due grandi crisi economiche hanno dirottato centinaia di miliardi di risorse pubbliche verso impegni non produttivi oltre ogni ragionevole limite, oggi servono soprattutto interventi nella spesa pubblica per sostenere i redditi delle persone, delle famiglie e delle imprese per la coesione sociale della nostra comunità nazionale.

Alfredo Magnifico

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