L’intervento/ Non siamo vassalli, guardiamo in faccia la realtà

di Massimo Dalla Torre

Vorremo aprire questa finestra sulle azioni del mondo politico con quanto sta accadendo attorno all’affaire “Salvini si Salvini no”. Una storia che vede ancora una volta il Molise accogliere in pompa magna, anche se le manifestazioni di dissenso non sono mancate, chi fino a qualche anno fa riteneva di cancellare il Sud e le sue realtà. A farci da sparring le insistenze con cui vengono proposte certe tesi di stampo prettamente nordico che, pur rispettando sia il ruolo sia le idee di chi le porta avanti, la dicono lunga sullo stato di sudditanza in cui versano molti esponenti politici anche in questa regione. La quale, visto i risultati, se vivessimo nel medioevo, anche se sotto molti aspetti ci viviamo ancora, assumerebbe ancora di più il ruolo di “vassallaggio totale”.

Una regione che, anche ieri sera al Centrum Palace di Campobasso, si è detta grata per quello che il “potere centrale” sta attuando ma che vede i molisani ridotti al ruolo di “servi della gleba”. Una regione che, a quanto pare, i numeri di ieri parlano da soli, ha sposato appieno la “santa causa” proposta dal “Casato Lumbard”. A questo punto, ci fermiamo qui, anche se potremo continuare, perché l’incongruenza potrebbe prendere il sopravvento sulla ragione tanto da non consentirci di trovare le parole giuste per commentare gli avvenimenti.

I quali, invece, meritano una risposta dai toni “rimatori” sullo stile dell’Aretino. Tuttavia, sempre per il rispetto che portiamo all’ Istituzione e ai suoi rappresentanti, cercheremo di improvvisarci lettori e non addetti ai lavori. Uno dei tanti lettori che, se potesse, rivolgerebbe domande specifiche a chi in questo momento si è “erto” a capitano di un’armata che neanche Brancaleone da Norcia comanderebbe, non nel senso stretto della parola, bensì in quello della compagine. Un’armata che gli anziani definirebbero “l’esercito di Giacchino”, arraffazzonato, male armato e impreparato, con riferimento alla sfortunata vicenda storica che vide la malasorte accanirsi contro Gioacchino Murat generale napoleonico fucilato dall’esercito borbonico a Pizzo Calabro dopo aver cercato di riconquistare “l’alta Italia”. Un lettore, dicevamo, che, se potesse, vorrebbe rivolgere alcune domande a chi è assiso comodamente sul “carroccio”.

E’ mai possibile che lo stato di sudditanza sia arrivato a questo punto? é mai possibile che nel terzo millennio, dopo aver aberrato le “bislaccate” della prima e seconda repubblica, si debba osannare quelle dell’attuale? Credeteci ci riferiamo a chi a giorni intraprenderà “la navigazione” dopo le elezioni del 26 maggio. A nostro modesto giudizio non serve, perché come spesso succede dopo un primo entusiasmo ci si spegne e si ripensa a quello che è stato, ma soprattutto si rimpiangono i protagonisti. Non siamo farneticanti e nostalgici, che pensano “si stava meglio quando si stava peggio”. No, assolutamente siamo di questo siamo più che sicuri, che chi inneggia al rigore e alla moralità invocando anche mezzi coercitivi non sa qual è il vero stato d’animo dei cittadini di una realtà come quella molisana, in cui si è arrivati veramente alla “frutta”.

La quale, non sa chi “pagherà il conto e dove ogni giorno che passa si assiste allo spopolamento e alla desertificazione mentale, materiale e morale. Una regione dove i servi della gleba sono costretti ad abbassare la testa e trainare il pesante fardello della quotidianità. Ascoltate la gente. Date riposte e non fate promesse che già sapete di non mantenere. Date certezze a chi non né ha più. Non ponete sul “carroccio” chi sfrutta la propria immagine “mediatica” per guadagnarsi lo spazio nella storia e nei libri. Per il posto d’onore “nell’olimpo degli immortali”, come disse la scrittrice francese Margherite Yurcenar non servono “i miti”. Non date credito ai “proclami”. Se si vuole veramente guadagnare un posto nella storia o sui libri “le acclamazioni dei sostenitori servono ben poco”. Serve, invece, il coraggio di lavorare in silenzio tra la gente e per la gente. Solo così si da una lezione di democrazia, responsabilità, rispetto per gli elettori e di amore per il proprio Paese e nella fattispecie per il Molise.

Solo in questo modo si potrà portare a compimento il tanto agoniato processo di innovazione e di ammodernamento che passa attraverso gli Enti territoriali, a cominciare dalle Regioni e dai Comuni. Solo così l’idea del cambiamento potrà essere guardata con fiducia e non con sospetto come accade ora. Solo così ci si affrancherà definitivamente dall’immagine di un “popolo scendiletto” che mette la faccia sotto i piedi di chi crede di fare il nostro bene con la consapevolezza che stare fermi con i piedi è molto difficile, tanto per citare una frase del compianto Massimo Troisi. Solo così si potrà dare spazio al confronto leale tra le parti in cui domande e risposte coniugate assieme possano essere la base costruttiva per il rilancio definitivo delle piccole ma significative realtà di cui il Molise è certamente un testimonial.

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