L’intervento/ Non rinnego la mia etnia

di Massimo Dalla Torre

Riproporre attraverso un articolo uno dei periodi più neri per l’umanità serve perché solo in questo modo si da un segno forte a chi ha reciso le radici della vita a sei milioni di persone che non hanno fatto più ritorno alle loro case, ai loro affetti, e che incolpevolmente fu marchiato con la stella ebraica e subì un destino terribile…Per questo voglio ricordare a me stesso ma anche agli altri che nessuno ha il diritto di chiudere dietro il filo spinato una vita…

Titolo enigmatico quello scelto per parlare della più grande tragedia che ha colpito l’umanità: la shoah di cui oggi ricorre la giornata della memoria che mi permette di scrivere un pezzo di storia familiare a testimonianza che le circostanze alcune volte possono salvarti la vita e di conseguenza essere vigili affinché la pazzia dell’uomo non torni prepotentemente a galla.

Erano gli anni bui della guerra e delle leggi razziali, dove appartenere a certe etnie era pericoloso, in quanto, si rischiava l’internamento nei campi di prigionia. Campi presenti anche nel Molise fortunatamente le tracce sono quasi del tutto svanite anche se la scellerataggine di persone invasate vestite di nero: le si fa sentire ancora gli echi. Dicevo la mia famiglia composta da nove persone viveva la quotidianità come tante altre famiglie tra vicissitudini e sacrifici anche se non mancava nulla, grazie alla oculatezza e alla parsimonia con cui si amministrava sia il menage che la economia familiare, eppure, un ombra sovrastava i destini di molti campobassani era l’etnia ossia le origini ebraiche.

Un marchio, anzi una stella a sei punte che, a distanza di 75 anni grida ancora al mondo intero che milioni di persone non sono più tornate alle loro case. Un simbolo che, tuttora combatte per vedere riconosciuti i diritti negati da chi si considerava appartenente ad una razza superiore. Una mattina Campobasso si svegliò sotto i rastrellamenti da parte delle truppe naziste che, casa per casa, cercavano gli appartenenti alla “genia di David”.

Rastrellamenti che toccarono anche i miei familiari che, per un caso fortuito furono risparmiati, in quanto sulla porta di casa fu posta una targa con su scritto in italiano e tedesco “polizie bank”, non sappiamo chi l’appose. Della scritta oggi non c’è più traccia, anche perché mio nonno non svolgeva assolutamente funzioni di sorveglianza bancaria; anzi era lui a dover essere protetto in quanto, si recava nel “caveau” della banca d’Italia in qualità di aiutante di cassa dell’istituto bancario dirimpettaio il convitto nazionale Mario Pagano come per miracolo, la pattuglia tedesca si arrestò davanti alla porta di casa e non procedette all’arresto di nessun componente della mia famiglia.

Casualità? Timore di ripercussioni da parte degli organi superiori di polizia militare asservita al sistema? Oppure consapevolezza che quello che stavano facendo era errato? Non è dato sapere. L’unica cosa certa è che sono qui a scrivere di quegli avvenimenti con la speranza che quello che accadde allora non si riaffacci più all’orizzonte; perché se si ripetesse la parola Shalom non avrebbe alcun significato.

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