#corpedelascunzulatavecchia/la lamiera dei gelati e la discesa di casa nostra

Oggi mi voglio ricordare di una delle giornate più creative che io ed il mio amico (complice più che amico) Nicola avemmo all’età di circa nove anni.

Era una bellissima domenica mattina e Nicola venne a casa mia pieno di aspettative: c’era tanta di quella neve ed avemmo potuto “sciare” lungo la discesa di casa. Discesa odiata da tutti noi per il ritorno a casa in salita, ma amata nello specifico.

La volontà di aprire la “nostra” stazione sciistica c’era ma, come per i frequentatori di Campitello quest’anno mancavano le “attrezzature”. In pratica non avevamo niente da utilizzare come slittino. Mentre ci stavamo lambiccando il cervello sul come poterci attrezzare bene ed in poco tempo per poter sfruttare al meglio il “nostro skipass” gratuito e domenicale. Da precisare che in quei tempi a scuola ci si andava anche
se nevicava ed anche se le strade nn le pulivano dalla neve come adesso.

Ed era proprio il fatto di non pulire le strade come adesso che ci dava la possibilità di “sciare” lungo la nostra discesa. Stavo dicendo io e Nicola eravamo disperati sul come organizzarci ma io ebbi un lampo di genio: mio padre aveva un negozio di alimentari ed apparteneva alla generazione: “mittele a pizze ca po’ sempe servì”…. mettilo da parte,
potrebbe torre utile.

Quella mattina “ca po’ sempe servì” toccò ad una lamiera dei gelati come quella che si
vede nella foto, anzi potrebbe essere stata la “gemella” di questa in foto, considerando che ai negozi ed ai bar di lamiere ne davano due: una dell’Algida ed una dell’Eldorado. Guardando i prezzi dei gelati ci potremmo essere come tempi.

Recuperata la materia prima per la produzione di un improbabile slittino,iniziammo le prove: la prima cosa fu piegare quella che sarebbe dovuta essere la parte anteriore dello slittino. La piegammo con le uniche pinze che allora rappresentavano l’attrezzatura della nostra officina ed iniziammo a scivolare.

Lo scivolare lungo la nostra discesa non comportava alcun pericolo dal punto di vista automobilistico, c’era la neve ed era domenica mattina. Stavamo tranquilli non sarebbe passato nessuna autovettura. Le successive scivolate furono dei work in progress per apportare delle migliorie alla nostra slitta. Iniziammo con piegare anche la parte posteriore della lamiera, ma più alta di quella anteriore perché nel nostro immaginario potevamo/dovevamo, crearci uno schienale. Successivamente notammo che in alcuni unti la slitta si girava e scivolavamo di lato, quindi piegammo la lamiera anche per un paio di centimetri ai lati e continuavamo a scivolare.

Non tralasciammo il confort ed usammo un sacco di iuta come cuscino, come
sedile, per stare più comodi e meno a contatto con la neve che a contatto con il nostro lato “B”, poi in effetti scoprimmo che era tutto frutto della nostra immaginazione.

L’uso della slitta, considerando il fatto che si abitava in campagna fu regolata dal contratto di mezzadria: una discesa io ed una Nicola. Chi scendeva risaliva porgendo la slitta al “complice”. La foto della tabella dei gelati in questo articolo l’ho fatta io ed è la foto di una tabella che ancora ho. Un attimo arrugginita, ma fulgido ricordo di anni dell’infanzia. La lunghezza della tabella è di circa 110 centimetri, se consideriamo che
noi ci creammo lo schienale e la piegammo avanti per poter scivolare restano di spazio utile, forse, una sessantina di centimetri che poteva essere la lunghezza delle nostre gambe. Eravamo proprio degli “sgrizzi”, ma sapemmo modellare la lamiera a modo di un battitore di lamiera nelle migliori carrozzerie di Maranello.

Dicevo l’operazione di scivolata continuò per tutta la mattina sino ad ora di pranzo. Allora non pensavamo che un panino poteva bastare e subito dopo avremmo continuato la nostra scivolata, e fu così che andammo a pranzo. Dandoci appuntamento per il pomeriggio. Io non sentivo alcun freddo, non avevo nessun problema. Tutto nacque appena arrivato a casa. Mamma, appena mi vide, mi tolse
immediatamente le scarpe e le mise vicino al camino per cercare di farle sì asciugare in quanto erano zuppe di acqua. Mi mandò a cambiare il pantalone e mi ordinò di stare vicino al camino per riscaldarmi, a nulla valse la mia protesta dicendole che non avevo freddo. Ci sedemmo a tavola e pranzammo.

Finito il pranzo cercai, in maniera defilata, di calzare di nuovo le scarpe per poter tornare scivolare, come eravamo rimasti d’accordo io e Nicola. Mamma con uno sguardo mi impose di rimare a casa facendomi notare che le scarpe erano ancora zuppe di acque e le stesse scarpe le avrei calzare il giorno dopo per andare a scuola. A casa di Nicola, ci confrontammo dopo, successe più o meno la stessa cosa. La cosa che anche con gli anni trascorsi ci è sempre sembrata strana è stata che in contrada nessuno fece caso alle urla disperate delle nostre mamme quando ci videro zuppi zuppi come “du scenne e baccalà a muolle”.

Questi erano i giochi cha facevamo noi, oggi sessantenni, da bambino, eravamo capaci, soprattutto noi che abitavamo in campagna, di costruirci i giocattoli e di utilizzarli con assoluta maestria. Non avevamo bisogno delle playstation, ci bastava in pezzo di lamiera e, come disse Archimede Pitagorico: “datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo” scoprendo la leva. A noi bastava molto di meno per sollevare il mondo, bastava una lamiera ed un paio di pinze anche arrugginite.

Il mio amico/complice di allora, Nicola, mi ha chiesto più volte di raccontare questa storia. Stavo aspettando che arrivasse la neve, sembra sia prevista per il 10 gennaio p.v. come direbbero i dotti ed edotti. Per oggi chiudo le trasmissioni inviando saluti e baci ed un sempre attento: statevi arrivederci con affetto e stima.
Franco di Biase

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