#corpedelascunzulatavecchia/La gallina al negozio, le briciole del pane e la canna e lena

Verrebbe da dire “… in quel tempo” visto che voglio raccontare una cosa del passato, senza entrare assolutamente in discorsi “evangelici” che l’incipit di questo scritto potrebbe indurre.

Quello che sto per scrivere mi è venuto in mente domenica mentre sistemavo la legna, come si vede dalla foto a corredo di questo scritto. Foto scattata dal mio amico “Asdrubale”

La volontà di segare, mettere in legnaia e quindi utilizzare la legna “dei nostri boschi”, giusto per citare l’amministratore delle tenute del Marchese del Grillo, nell’omonimo film, quando, credendo di avere a che fare con il vero marchese parla della legna dei boschi a Gasperino il carbonaio che lo zuzzurellone marchese aveva sostituito a sé stesso. Ecco il link: https://www.youtube.com/watch?v=8ZmBGC3atXU

Nel mettere a posto al legna mentalmente ho ripercorso il film, ma limitatamente a quella scena ed ho concluso che, come Gasperino, avevo abbattuto gli olmi per provvedere al fabbisogno calorifico della mia casa.

In pratica per creare dispiacere a Putin utilizzeremo la legna “dei nostri boschi” per alleviare la bolletta del metano, almeno per cercare di farlo.

Da questi ottimi propositi energetici mi è scaturito un ragionamento tra me e me stesso facendo dei voli pindarici nella mia mente mentre tagliavo la legna e la mettevo a posto. La cosa bella dei lavori manuali è che mentre lavori puoi pensare tranne se non ti si ficca in testa il motivetto di qualche canzone e te lo porti avanti per tutta la “canna e lena”. A proposito: la “canna e lena” è un parallelepipedo largo 110 cm; alto 110 cm e profondo 440 del peso complessivo per legna verde di circa 25 quintali. Giusto per dare l’idea è quella catasta di legna sulla mia sinistra. Ma giusto per dare l’idea visto che non è proprio precisa.

Quindi tra una segata e l’altra, tra un sorso di acqua, rigorosamente di acqua perché come diceva mio nonno: “..Fucile e carrette chi n’n te ciuruelle ce le mette” nel senso che quando si lavora e/o si utilizzano in genere autovetture e/o macchine utensili bisogna essere rigorosamente coscienti e sereni nonché attenti e precisi. Dicevo tra una segata e l’altra mi sono “scoperto” a pensare a quella che potrebbe essere la nostra situazione nei prossimi mesi invernali. Una situazione di ristrettezza causata dalla guerra in atto in Ukraina ma non solo. Ma proprio sulla guerra vengono in mente tante cose che i nostri nonni ci raccontavano del periodo della guerra.

La ristrettezza alimentare, il razionamento di tutto, la povertà acuita dalla situazione bellica dalla necessità di provvedere ad apparecchiare tavola.

In quella situazione tutto erra rigorosamente prezioso e necessario, cosa che con il benessere ed il consumismo degli anni a seguire abbiamo quasi perso.

Passata la guerra iniziarono gli anni della ricostruzione, ma la miseria lasciata dalla guerra ed i suoi risvolti si facevano ancora sentire. Lo spirito di adattamento verso il basso ancora c’era ed ognuno riusciva, per necessità a sfruttare tutto quello che aveva. Altro ricordo “cinematografico” Luciano De Crescenzo che in “Così parlo Bellavista” ci parla della scatola degli “spaghi troppo corti per essere utilizzati” che la madre conservava gelosamente. Ecco il link: https://www.youtube.com/watch?v=kI-uieDLi90

Ritorniamo al nostro discorso ed arriviamo alla gallina e le briciole del pane.

Dopo la guerra, a Campobasso, non a Treviso, un signore aprì un negozio di alimentari.

Era un personaggio “sui Genesis” ed aveva le sue visioni della vita. Nel suo negozio, una delle prime cose che fece fu quella di “arruolare” una gallina che gli “recuperasse” le briciole del pane cadute a terra in seguito al “frazionamento del panello”. Briciole che diversamente sarebbero andate perse. A suo modo di vedere era un recupero di risorse che andava rigorosamente fatto. Oggi lo chiamerebbero consumo sostenibile o qualcosa del genere. Lo stesso negoziante, burbero per natura, aveva un modo di interloquire tutto suo con la clientela soprattutto quando, per esempio, chiedevano del pane. I clienti esprimendo giudizi sulla cottura del pane, per esempio, insomma come dire: “chi la vò cotta e chi la vò crura” il nostro negoziante, evidentemente non troppo paziente usava dire: “ah, chella guerra!” riferendosi alla necessità durante la guerra di accontentarsi di quel poco che si aveva. Secondo il ricordo che ho del racconto che mi faceva nonno di questo commerciante, la sua avventura commerciale non ebbe vita lunga e fu costretto a chiudere.

Chiudo con un mio ricordo: mio padre ha avuto un negozio di alimentari per quarantaquattro anni, vivendo sempre in buona sintonia con i suoi clienti e non avendo mai galline dietro al bancone. Quando voleva scherzare sul suo lavoro e sul rapporto che aveva con la clientela usava dire: “qua a cient’anne, quann me more, se San Pietre n’ m’ rape u pertone, pe tutta la pacienza ca s’ho avute che la gente, ciù sfonne”. Per me, da figlio, credo che San Pietro lo abbia accolto senza bisogno di chiamare San Giuseppe, o altro falegname celeste.

Cià ba’!

Scusatemi la parente(si) filiale e familiare e, sempre con affetto e stima, statevi arrivederci.

Franco di Biase

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