#corpedelascunzulatavecchia/Hanno ammazzato il porco, il porco è vivo ….

Ho voluto parafrasare una canzone di Francesco De Gregori, per dare un titolo a questo scritto. L’uccisione del maiale nella cultura contadina del nostro Molise rappresentava un momento importante, topico ma ricorrente per la vita dei nostri avi, un vero momento d’incontro di parenti ed amici.

Dimentichiamo i nostri giorni, i giorni in cui troviamo le salsicce nel banco della gastronomia per tutto l’anno, pensiamo a cosa succedeva quando si dovevano seguire necessariamente le stagioni per non avere problemi di consumo e di conservazione, non avendo a disposizione celle di essicazione e/o celle frigorifere per la frollatura delle carni.

Il maiale doveva essere ammazzato e lavorato necessariamente nelle giornate gelide per consentire alle carni di rassodare e poi ai salumi di essiccare. Tutte le operazioni dovevano essere effettuate rigorosamente in periodi di luna calante (la mancanza) per non avere problemi per la conservazione. Oltre alla lavorazione esisteva anche un
“cerimoniale” da rispettare. Si iniziava con la fissazione della data, in ogni famiglia c’era un “macellaio”, rigorosamente tra virgolette perché, ovviamente, non svolgeva normalmente il mestiere di macellaio. Una volta stabilite le date non c’era altro da aspettare.

La mattanza a casa nostra avveniva normalmente di domenica in quanto mio padre avendo un negozio di alimentari non poteva dedicare altri giorni all’uccisione del maiale. Poi, successivamente, si scelse di ammazzarlo il giovedì pomeriggio, negozio chiuso, per poi poterlo lavorare la domenica.

Quando lo ammazzavamo la domenica, nei miei ricordi da bambino, la giornata iniziava per mio nonno alle sette. Nonno era “addetto” all’accensione della caldaia per far bollire l’acqua che sarebbe servita per pelare il suino. Nonno si era scelto quel lavoro, un lavoro defilato se vogliamo, un lavoro che non lo portava a lavorare direttamente il porcello. Che nonno non volesse lavorare e mettere la mani sul porcello lo avevamo capito e non gli dicevamo niente. Scoprire il lato umano, buono, di un contadino rude all’apparenza gli avrebbe fatto “perdere punti”.

Non lo ha mai ammesso, ma un poco gli dispiaceva che si ammazzasse il maiale che aveva cresciuto. Tornando alla fase clou: il nostro “macellaio”, quello che sovrintendeva alle operazioni era zio Giovanni. Era uno zio di mio padre avendo sposato l’ultima sorella di mia nonna e quindi era il più giovane dei cognati. Zio Giovanni arrivava la mattina verso le otto con la sua borsa degli “attrezzi”.

Si cambiava ed apriva la borse sistemando gli “attrezzi” su un tavolaccio. Gli “attrezzi” erano i coltelli che si sarebbero dovuti usare per il maiale. Zio Giovanni non era assolutamente geloso della sua attrezzatura, tutti la potevamo prendere, ma era molto rigido sull’uso che avremmo fatto di ogni singolo coltello.

Dalle otto, tra un tazza di caffè ed un biscottino, si aspettava il grido: “volle!” significava che l’acqua bolliva e si sarebbe potuto partire le operazioni. Partito il feral fendente si iniziava a pelare il suino per poi passare alle operazioni successive. Ed
era qui che partivano le lezioni di “anatomia suina” di zio Giovanni. L’esperienza di zio Giovanni era tanta a e tale, ammazzava circa trenta maiali l’anno, che l’aveva portato a conoscere a mena dito l’anatomia del porcello e tutti assistevamo alle sue “autopsie” con intensa partecipazione scoprendo ogni anno qualcosa di nuovo.

La mattinata si concludeva con la svestizione degli abiti da lavoro e con il ricomparire delle giacche e delle cravatte, per passare alla parte “mondana” della giornata: “la festa del porco”. La parte “mondana” iniziava ovviamente con il pranzo a base di inevitabile pastasciutta, di solito penne o mezze zite spezzate, fatte con il ragù di vitello. La carne del maiale non si poteva utilizzare. Troppo fresca e sarebbe arrivata in cucina con enorme ritardo per la preparazione del ragù. La carne di maiale, però aveva un ruolo principesco nel pranzo della festa del porco. Veniva prelevata e portata in cucina ed utilizzata per la “fressora”.

Bisogna dire che la fressora è il nome dialettale della padella, ma in questo caso diventa un sublimare la giornata con un piatto unico, semplice ma eccezionalmente buono. La carne veniva fatta cuore in padella e verso la fine della cottura si aggiungevano spruzzi di aceto e “peparulesse” sott’aceto fatte a pezzi. La preparazione , la “cumposta”delle peparulesse nell’anfora la “runcella” di creta si faceva a settembre, e le “peparulesse” si preparavano proprio per la “festa del porco”, fermo restando che se ne fossero avanzate si sarebbero potute anche usare per altri scopi.

La giornata, finito il pranzo, continuava con giochi di carte (tressette e stoppa
per gli uomini) e tombola e sette e mezzo per donne e bambini. Ricchi premi e cotillons per tutti.

Al giorno d’oggi il Presidente Toma ha vietato questa giornata, non l’ho votato il Presidente Toma, ma è Presidente eletto, e non ho condiviso molte delle sue scelte. Questa di vietare la festa del porco in epoca di pandemia credo sia una cosa buona, anche se bisogna dire che le “feste del porco” ai giorni d’oggi non sono più come quelle che ho appena raccontato. Allora, quando si ammazzava il maiale c’erano due “formazioni”. La prima era quella degli “operativi” cinque, sei persone che materialmente lavoravano il maiale, la seconda dei “ludici”, erano gli invitati di riguardo alla festa, quelli ch venivano solo per godere dei piaceri della tavola e si arrivava, così, ad
essere trenta e più persone seduti a tavola per godere della “fressora”.

Si narra di “feste del porco” fatte in capannoni agricoli on la partecipazione di complessi musicali locali per allietare la serata danzante. Una specie di mini matrimonio. Le riunioni di una volta non esistono più, per la maggior parte dei casi. Oggi sempre più spesso viene un macellaio di mestiere a casa che al prezzo di 30 o 50 euro ti ammazza e ti prepara il maiale nel giro di un paio d’ore. Bisogna solo aspettare che la carne si rossodi per fare le salsicce. Tempi che cambiano ed anche i macellai non fanno più
le lezioni di “anatomia” che ci faceva zio Giovanni.

Con affetto e stima, e con tanto colesterolo per lacerne del suino, vi auguro un sereno e proficuo 2022.

Statevi arrivederci
Franco di Biase

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