Campobasso non può rinnovare il rito del fuoco di Sant’Antonio Abate

di Massimo Dalla Torre

Anche quest’anno Campobasso avrebbe dovuto onorare il 17 gennaio, giorno in cui ufficialmente entra il carnevalee si accedono i falò, che quest’anno causa la pandemia da covid19 non è possibile festeggiare, come pure le manifestazioni religiose, se non in forma ridottissima.

La festa dedicata a Sant’Antonio Abate è legata alla leggenda del santo che riportiamo dal sito della “Associazione Centro Storico” Il santo eremita tanti secoli fa viveva nel deserto insieme con un maialino che lo seguiva dappertutto; là, ogni giorno vinceva con i più svariati trucchi le tentazioni del diavolo. Ebbene, la leggenda dice che, allora non esisteva il fuoco sulla terra e gli uomini soffrivano un gran freddo. Dopo aver discusso a lungo, i governatori della terra inviarono una delegazione, dove viveva sant’Antonio per pregarlo di procurare il fuoco.

Il vecchio santo, impietosito, si recò col suo fedele maialino all’inferno, dove le fiamme ardevano giorno e notte, bussando all’immenso portone. Quando i diavoli videro che il visitatore era il santo, il loro peggior nemico che non riuscivano a vincere, gli impedirono di entrare. Il maialino nel frattempo si era intrufolato rapidamente, nella città diabolica.La bestiolina cominciò a scorrazzare facendo danni dappertutto: dopo aver tentato inutilmente di catturarla, i diavoli si recarono da sant’Antonio pregandolo di scendere all’inferno per riprendersi il maialino.

L’eremita, che non aspettava altro, si recò nel regno dei dannati con il suo inseparabile bastone a forma di tau.  Durante il viaggio di risalita in com­pagnia del maialino fece prendere fuoco al bastone sicché, giunto sulla terra, poté accendere una grande catasta di legna offrendo così il primo e so­spirato fuoco all’umanità. E’ per questo che il vecchio santo della lunga barba bianca viene raffigurato di solito con il suo bastone a forma di tau, un maialino ai piedi e in mano la fiammella del fuoco.Ecco perché il giorno della festa gli uomini accendono dappertutto dei grandi falò”.

Festa che nel capoluogo di regione trova la sua apoteosi non solo nella chiesa prospiciente una delle sei porte d’accesso alla città ma soprattutto sul sagrato dove si celebra l’accensione del fuoco e la benedizione degli animali, un tempo da cortile oggi da compagnia. Il rito dell’accensione dei fuochi invernali, si legge sempre nello stesso sito, si collega ad un rito pagano che si ripete da secolie simboleggia la funzione purificatrice, gli effetti magici dell’allontanamento delle streghe, degli spiriti invernali, dei morti, delle malattie quale espressione dell’ardore delle passionigesti propiziatori contro le tentazioni. In quest’ambito che si sviluppa la ricorrenza che affonda le radici nel lontano 1600 anche se gli studiosi e soprattutto i cultori della storia locale sono sicuri che è molto più antica.

Manifestazione tra il sacro e il profano che rappresenta un tributo a quello che è la tradizione che vede annualmente raccogliere gente attorno al fuoco che, proprio perché tale, non si spegneva con le prime luci dell’alba del 18 gennaio ma rimaneva acceso dentro a dimostrazione che la campobassanità che onora il santo eremita sono radicate.

Radici che riportano alla mente gestualità che sono quasi del tutto scomparse perché l’incongruenza dell’attuale non permette assolutamente di apprezzarne la valenza e di conseguenza il significato che, proprio perché tale, si rinnova ogni qualvolta arriva questo giorno chiamando, ora non più, speriamo il prossimo anno, a raccolta non solo gli abitanti del quartiere ma l’intera comunità cittadina con la speranza che le fiamme purificatrici facciano svanire le contrarietà che rappresentano il lato deleterio della società odierna.

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