“Dolcezze e rovi”: la mostra che ha fatto da ponte tra le due giornate per l’eliminazione della violenza contro le donne

Allestita in auditorium, la mostra è una personale riflessione per immagini della condizione della donna odierna soggetta a violenze, forse ancor di più rispetto ai tempi della caccia alle streghe.
Sono presenti opere di denuncia sulla violenza di guerra, come gli stupri bosniaci, o la violenza sulle migranti (opera esposta al Premio Sulmona) che, dopo avercela fatta ad attraversare il mare nei barconi, naufragano nella “terra promessa” attraverso varie forme di sfruttamento. La rappresentazione visiva di alcuni miti significativi, come Apollo e Dafne, o Amore e Psiche, Barbablu, Penelope e Paolo e Francesca (esposte al Palazzo D’Avalos di Vasto) fanno da riferimenti senza tempo al problema della violenza contro la donna, dando ragione alla concezione del tempo soggettivo di Bergson: il tempo presente si compone su quello passato e la memoria diventa l’oggi.

Tratta il tema della parola contratta (oggi sempre più presente) che conduce alla non comunicazione nelle relazioni e il tema del rapporto tra la donna dell’est con quella occidentale, entrambe Sul cuore ferito del mondo (quadro premiato giorni fa al concorso Anteas). Un percorso espositivo che conduce ad una riflessione molto ampia, uno spaccato della società contemporanea, dove più di 1/3 delle donne subisce violenza fisica, psicologica, o verbale. L’arte è architettura dell’invisibile, dà voce a ciò che non ce l’ha e spesso dice più delle conferenze. Immagini iconiche, simboliche, composizioni in dissonanza, dai colori potenti.

L’imperfezione (da me voluta) le rende più terrestri. Cerca di destare le nostre coscienze su questa brutale violazione che è la piaga attuale dell’umanità. Ciascuna immagine potrebbe rappresentare noi. La mostra inquieta, pone domande scomode ai maschi, disturba, così come può far desiderare un mondo migliore. Il percorso espositivo termina infatti con le parole del Talmud: State molto attenti a far piangere una donna perché Dio conta le sue lacrime. La donna è uscita dalla costola dell’uomo, non dai piedi perché dovesse essere calpestata, né dalla testa per essere superiore, ma dal fianco, per essere uguale. Un po’ più in basso del braccio, per essere protetta. Dal lato del cuore, per essere amata. Infine una Nascita di Venere dall’acqua diventa segno di una rinascita della donna in un mondo vergine e accogliente.

Sarà possibile? No finché si crederà che è nel DNA dell’uomo l’aggressività, finché non gli si consentirà di mostrare la sua fragilità e le sue imperfezioni; finché non si pretenderà da lui prestazioni superiori; finché la competizione, il potere, i soldi saranno i valori primari in società; finché la mitezza, la cura e il perdono saranno considerate prerogative femminili; finché non si insegnerà all’uomo l’espressione dei sentimenti nella parola; finché capirà che lui non possiede nessuno; finché non desidererà vivere felicemente in parità con noi. (Antonietta Aida Caruso)
La mostra resta allestita in auditorium in via Elba, visibile al mattino, dalle 9 alle 12, fino a venerdì 28 novembre, preferibilmente su richiesta di visita guidata al n. 328.3413883.

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