Petrella Tifernina: Un romantico viaggio nelle radici del teatro degli scavalcamontagne

Sulle tracce degli undici fratelli De Rosa, attori ribelli del teatro popolare italiano. Il 18 luglio a Petrella Tifernina e il 19 luglio a Macchiagodena le prime tappe del viaggio commemorativo di una compagnia teatrale leggendaria.

Dopo un decennio di ricerche appassionate, lo scrittore Renato De Rosa, discendente diretto degli undici fratelli de Rosa – attori itineranti vissuti tra il tardo Ottocento e il Novecento – torna nei luoghi in cui nacquero i suoi avi, per onorarli e raccontare la loro storia.
Quella dei fratelli de Rosa fu una storia romantica e affascinante, come lo fu l’epopea del teatro itinerante: oggi è un’arte perduta, ma per secoli fu l’unico strumento di diffusione diretta tra la gente della cultura e della lingua italiana.


Gli attori costituivano vere e proprie dinastie, famiglie che non avevano una casa, ma viaggiavano di paese in paese, trattenendosi anche tre mesi e proponendo un vastissimo repertorio, fino a cinquanta opere, tutte tenute prodigiosamente a memoria.
L’arrivo in paese di una compagnia teatrale era considerato un evento. Gli attori erano squattrinati, ma al tempo ammirati e rispettati per la loro cultura e perché avevano “girato il mondo”. In un certo senso si può dire che fossero gli influencer dell’epoca.


Il teatro itinerante si spense tristemente negli anni ’50 del Novecento, sconfitto dai nuovi mezzi di comunicazione, il cinema e la televisione, che finirono con il cancellare il fascino di un’arte che aveva attraversato i secoli, superando guerre, dittature e carestie.
La storia teatrale dei de Rosa nasce nel 1873, a Melfi, dove Raffaele, 20 anni, rampollo di un’agiata famiglia di galantuomini, cioè i possidenti terrieri, studia per diventare notaio. La sua vita è sconvolta dall’incontro con Maria, 18 anni, figlia del Capocomico Luigi Giuliani, da secoli
scavalcamontagne, come venivano chiamate le compagnie che recitavano nei borghi più remoti.


Scoppiò uno scandalo e Raffaele decise di abbandonare la famiglia e gli studi per aggregarsi alla Compagnia. Naturalmente venne diseredato.
Dalla loro unione nacquero undici figli, nove maschi e due femmine, che divennero leggendari nel panorama teatrale italiano. Dal singolare connubio tra l’arte teatrale dei Giuliani e la nobiltà dei De Rosa, emerse una generazione orgogliosa: attori straordinari ma al tempo stesso
romantici ribelli, sempre pronti a schierarsi dalla parte della povera gente, contro il potere politico e religioso. Un atteggiamento che loro chiamavano semplicemente dignità.
I fratelli de Rosa cercarono sempre di mantenere le tradizioni teatrali secolari, arricchendole però con le tendenze più moderne e innovative: furono tra le prime compagnie teatrali a proporre Pirandello, Bracco e Ibsen: rappresentavano in paesi di provincia quelle opere che le
compagnie più famose non osavano proporre nei grandi palcoscenici.
Si caratterizzarono rispetto a molte altre formazioni, perché concepivano il teatro non solo come mestiere, ma anche come missione civile.
La compagnia teatrale si spostò al Centro-Nord e crebbe nella considerazione del pubblico, fino a diventare una delle più apprezzate in Italia, ma non riuscì a raggiungere i grandi palcoscenici perché fu fermata da due guerre mondiali e soprattutto dal ventennio fascista. I
fratelli de Rosa, fieri oppositori del regime, furono costantemente ostacolati e non riuscirono a conseguire la fama e la gloria che avrebbero meritate. Si trovarono a recitare con i fucili dei fascisti puntati addosso e a chiudersi in un teatro con le famiglie per impedire alle squadracce di dargli fuoco.
La loro storia stava perdendosi nella polvere del tempo, fino a quando Renato de Rosa, raccogliendo il testimone della cugina Mary, ha dedicato dieci anni alla ricostruzione delle loro vite e dei loro percorsi teatrali: attraverso archivi, biblioteche, memorie locali e testimonianze, è riuscito a delineare una saga familiare tanto appassionante quanto poco nota, resa ancora più difficile dal fatto che i fratelli de Rosa, schivi e riservati per natura, non avevano raccontato, neppure ai loro figli e nipoti, le loro straordinarie vicende, costellate di eventi drammatici, eroici, tragici e comici. Molti di questi fatti sono emersi proprio da questa ricerca.
Le loro vite si incrociarono con quelle di molte figure di rilievo del Novecento: da Giacomo Matteotti, a Mussolini, Gabriele D’Annunzio, Giovanni Guareschi, al bandito Sante Pollastri.
Alfredo de Rosa, uno dei fratelli, salvò persino la vita a Italo Balbo (ignorando chi fosse) e Gian Maria Volontè esordì come primo attore con loro.
La vita teatrale dei fratelli de Rosa si concluse nel 1954, quando oramai l’epopea del teatro itinerante si era conclusa: loro, che erano sempre stati uniti in vita, morirono lontano l’uno dall’altro, ma soprattutto lontano dal teatro e nessuno di loro ebbe il più grande onore per un attore: morire sul palcoscenico.
Tutte queste vicende sono state raccontate da Renato de Rosa nel libro Figli d’Arte, che, oltre a essere una saga familiare, costituisce anche una preziosa testimonianza dell’arte, oggi quasi dimenticata, del teatro itinerante.
Le loro vite sono anche un modo originale per ripercorrere cento anni di storia del nostro paese, vista attraverso gli occhi della gente comune.
Questo l’antefatto e, partendo da questa storia, inizia il progetto: riportare nei luoghi di nascita dei Fratelli de Rosa le loro figure e la loro arte. Essi nacquero nei paesi in cui la compagnia si trovava a recitare, per lo più borghi dell’Appennino tra le Marche, l’Abruzzo, il Molise e il Lazio.

Michele: Cermignano (Teramo)

Giorgio: Pizzoli (L’Aquila)

Armando: Montegiorgio (Fermo)

Alfredo: Amatrice (Rieti)

Ubaldo: Macchiagodena (Isernia)

Arturo: Riofreddo (Roma)

Emilia: Villamagna (Chieti)

Luigi: Petrella Tifernina (Campobasso)

Pietro: Silvi (Teramo)

Alessandro: Rivisondoli (L’Aquila)


Manca la primogenita, Ida, che emigrò in America ai primi del ‘900 e della quale si è persa traccia del luogo di nascita.


Il legame tra gli attori e gli abitanti era consolidato dal fatto che durante la permanenza in paese le compagnie vivevano tra la gente, che affittava loro delle “stanze con uso cucina” ed era considerato un onore poter ospitare gli attori, con i quali si creava spesso un legame di amicizia e di fratellanza.

Le prime tappe di questo “viaggio del ricordo” saranno in Molise: il 18 luglio a Petrella Tifernina e il 19 a Macchiagodena. Lo scrittore racconterà con un recital la storia di questi concittadini, fino a oggi a loro sconosciuti, e donerà una lapide commemorativa che ne ricordi la figura e che divenga segno tangibile e duraturo della storia del teatro popolare italiano.

Questo progetto si inserisce nel contesto di valorizzare la memoria e la storia popolare locale, rendendo i piccoli borghi d’Italia custodi di patrimoni spesso dimenticati. L’obiettivo è proseguire, in seguito con i paesi d’origine degli altri fratelli, tessendo una rete narrativa diffusa che possa ridare ospitalità alle vite “senza casa” dei de Rosa.

Renato de Rosa
Nato nel 1957 a Castellina in Chianti, vive e lavora a Carrara, dove dirige una società specializzata nella consulenza d’impresa sulle politiche comunitarie.
Ha ideato e insegna Free Mind, una tecnica per sviluppare l’attitudine a pensare con la propria testa.
È creatore di giochi da tavolo, categoria nazionale di scacchi e di bridge ed è iscritto al Mensa, l’associazione mondiale delle persone ad elevato Q.I.
Scrittore e autore umoristico, ha collaborato con i laboratori di Zelig.
Ha scritto Il più grande calciatore del mondo (Limina Edizioni, 2006), La variante del pollo (Mursia, 2012), La variante del pollo international (Mursia, 2016), Osvaldo, l’algoritmo di Dio (Carbonio, 2020), Figli d’arte (Photo Travel Editions, 2021), In linea d’Aria (Selvatiche Edizioni, 2025), I tre porcellini – Una storia matriarcale e non sessista (Fuoco Fuochino, 2025) .

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