Ad ascoltare Giorgia Meloni al Meeting di Rimini, l’Italia sarebbe un Paese in crescita, con una traiettoria positiva destinata a rafforzarsi.
Nel suo lunghissimo ed applaudito intervento ha rivendicato i risultati economici del suo governo, sottolineando di aver garantito benefici per 16 miliardi di euro alle famiglie italiane nel 2024 e di aver creato oltre un milione di nuovi posti di lavoro in poco più di mille giorni, ma i dati reali mostrano un’economia in grande difficoltà.
L’Istat nella stima completa dei conti economici trimestrali rileva contributi nulli da consumi delle famiglie e spesa pubblica, a fronte di un pesante segno meno della domanda estera netta (-0,7 punti)
Il pil italiano nel secondo semestre va sotto zero, stretto a causa dei dazi di Trump, dal dollaro debole e dai consumi piatti a causa dei rincari del ‘carrello della spesa’.
L’Istat, conferma una flessione dello 0,1% che riflette i contributi nulli dei consumi delle famiglie e della spesa pubblica, il sostegno degli investimenti (+0,2) e delle scorte (+0,4 punti), e un pesante segno meno della domanda estera netta (-0,7 punti).
Dal lato della produzione, risultano in calo sia l’agricoltura (-0,6%) sia l’industria (-0,3%), mentre i servizi restano stabili.
Ciliegina sulla torta, il dato sull’inflazione: ad agosto il “carrello della spesa” ha registrato un aumento annuo del 3,5% (dal +3,2% di luglio), mentre i prodotti ad alta frequenza d’acquisto sono saliti del 2,4%, un mix che mette sotto pressione i bilanci delle famiglie.
Per farla breve la realtà non è come ci viene raccontata ma i dati smentiscono la narrazione governativa; l’economia rallenta, i prezzi dei beni essenziali continuano a crescere, i salari reali restano fermi o addirittura in riduzione, non c’è stata alcuna politica di sostegno al potere d’acquisto, come il contrasto al fiscal drag.
Il risultato vero è una recessione sociale: i lavoratori lavorano di più, guadagnano uguale o meno, e pagano molto di più per mangiare, vestirsi e curarsi. Questo è il vero bilancio del governo.
Nessuna nazione ha fatto peggio dell’Italia, ribadisce il rapporto Ocse 2025 sull’occupazione, presentato al Cnel; il mercato del lavoro italiano, ha raggiunto livelli record di occupazione e minimi storici di disoccupazione e inattività ed è aumentata dell’1,7% da maggio 2024 a maggio 2025, trainata dalle persone oltre i 55 anni di età, tuttavia, il tasso di occupazione in Italia rimane «significativamente inferiore alla media Ocse»: 62,9% contro 70,4%.
I salari reali stanno crescendo, ma gli esperti affermano che l’Italia ha registrato il calo più significativo dei salari reali tra tutte le principali economie dell’Ocse, nell’ultimo anno i salari reali erano inferiori del 7,5% rispetto all’inizio del 2021.
I rinnovi contrattuali hanno portato aumenti salariali non sufficienti a compensare la perdita di potere d’acquisto, senza contare che un dipendente su tre del settore privato, ha ancora il contratto scaduto e la crescita dei salari rimarrà modesta nei prossimi due anni.
Quello che preoccupa l’Ocse è l’invecchiamento della popolazione: il numero di anziani per persona in età lavorativa aumenterà del 67% entro il 2060 in tutti i paesi dell’Ocse, ma in Italia, tra il 2023 e il 2060, la popolazione in età lavorativa diminuirà del 34%, oggi per ogni 2,4 lavoratori c’è un anziano a carico, fra 35 anni il rapporto scenderà a un anziano per ogni 1,3 persone in età di lavoro.
Se la crescita annuale della produttività del lavoro rimarrà a livello del periodo 2006-2019 (in Italia 0,31%), il Pil pro capite diminuirà ad un tasso annuo dello 0,67%».
Il Consiglio neanche tanto velato di OCSE è; aumentare l’occupazione, in particolare di anziani e donne, promuovere l’immigrazione regolare e aumentare la produttività, che se crescesse della metà del tasso osservato da Ocse negli anni Novanta (circa l’1%), la crescita annuale del Pil pro capite italiano potrebbe raggiungere un buon 1,34%, tuttavia, questo obiettivo appare difficile per l’Italia, date le performance degli ultimi decenni.
Infine, l’Ocse lancia l’allarme sull’equilibrio intergenerazionale; negli ultimi trent’anni i baby boomer hanno goduto di una crescita del reddito significativamente più forte rispetto alle giovani generazioni, se non si troverà modo di aumentare i redditi dei più giovani, la disuguaglianza intergenerazionale crescerà.
Nel 1995 il reddito disponibile equivalente delle famiglie dei giovani in età lavorativa era superiore dell’1% rispetto a quello degli italiani tra i 55 e 64 anni, nel 2016 la situazione si è ribaltata a favore dei lavoratori più anziani, che godono di un reddito superiore del 13,8% rispetto a quello dei loro colleghi più giovani.
Non sono tutte rose e fiori quello che la nostra Presidente ci racconta, all’orizzonte non vedo il sole brillare, spero non si abbatta una bufera che potrebbe far crollare le nostre instabili certezze.
Alfredo Magnifico