Nel 2020 sono state 42.000 le dimissioni di neogenitori, il 77% donne

In Italia il mondo del lavoro diventa ogni giorno di più precluso al pianeta donna, a confermarlo sono i dati emersi da una recente relazione sfornata dal Ministero del Lavoro attraverso i dati dell’Ispettorato del Lavoro, dai quali viene fuori, nella consueta relazione annuale, che nel 2020 ci sono state 42.000 dimissioni di genitori di bambini da zero a tre anni, di queste le donne sono il 77% del totale.

Il 92% delle dimissioni e risoluzioni consensuali riguarda sia operai che impiegati, con un’età tra i 29 e i 44 anni, nell’88% dei casi la decisione di lasciare il lavoro è presa nei primi 10 anni di servizio.

Più del 94% delle cessazioni di lavoratrici madri e/o lavoratori padri sono riconducibili a dimissioni volontarie, per le donne, sono in larghissima parte (3 su 4) motivate da difficoltà; a conciliare il lavoro con la cura dei figli, per ragioni connesse alla indisponibilità di servizi a supporto, per ragioni legate al proprio contesto lavorativo.

Nell’anno della pandemia sono diminuite le dimissioni dei padri (-31,1%) rispetto a quelle delle madri (-13,6%).

Le cessazioni da rapporto di lavoro complessive nel 2020 sono state oltre 9 milioni con un calo del 17,7% sul 2019.

I settori più interessati sono quelli dove è più significativa la presenza femminile, come il terziario e il manifatturiero, ma anche nei settori della sanità e dell’assistenza sociale.

La distribuzione territoriale non presenta scostamenti significativi e segue l’andamento del mercato del lavoro: dimissioni e risoluzioni si concentrano maggiormente (65% del totale) nell’Italia Settentrionale e risultano meno frequenti al Centro (19%) e nel Sud Italia (16%). In tutti gli ambiti territoriali si registra una spiccata prevalenza delle cessazioni relative a lavoratrici madri, che rappresentano il 93% nel Meridione, l’83% nell’Italia centrale e il 72% nel Settentrione.

La motivazione prevalente è la scadenza del contratto, che coinvolge più di 6 milioni di rapporti a tempo determinato, cessazioni, dimissioni, comprese le dimissioni convalidate, ovvero quelle che riguardano genitori di figli con meno di tre anni, sono state 1,5 milioni.

Il Rapporto INL evidenzia l’impatto diverso sulla partecipazione al mercato del lavoro di uomini e donne, in presenza di figli la partecipazione maschile aumenta e quella femminile si riduce, inizia con il primo figlio e si incrementa con il secondo, senza differenziazioni territoriali, ha valori più elevati nella classe di età 25-34, in presenza di figli aumenta l’inattività delle donne e diminuisce quella degli uomini.

L’occupazione delle donne tra i 20 e i 50 anni è al 60% in assenza di figli tra zero e un anno nel nucleo familiare, è al 50% con un figlio minore di un anno mentre nella stessa fascia l’occupazione maschile è all’86% senza figli tra zero e un anno e al 90% in presenza di neonati.

Su 42.377 sono dimissioni volontarie (oltre il 94%) mentre per giusta causa 4% e risoluzioni consensuali sono il 2%. Il 77,4% si riferisce a donne. Sul complesso dei richiedenti, il 61% ha un figlio, il 32% due figli e il 7% più di due, l’età del figlio che più incide in questo fenomeno è quella fino ad un anno, quindi prevale l’esigenza di primo accudimento, l’86% delle convalide è di italiani, il 92% delle dimissioni arriva da impiegati e operai,la metà dei neo genitori che lasciano il lavoro hanno iniziato a lavorare da meno di tre anni.

La motivazione più frequente è la difficoltà di conciliazione tra  occupazione lavorativa e cura dei figli, per ragioni legate alla disponibilità di servizi di cura (38%) che per ragioni di carattere organizzativo riferite al proprio contesto lavorativo (20%).

Le scelte di questo tipo sono in effetti rinunce al lavoro, all’autonomia, alla professionalità e alla realizzazione personale, ogni dimissione è una perdita di competenze che si traduce in un impoverimento delle professionalità di tutto il Paese.

Le diseguaglianze di genere si sommano a quelle professionali e lavorative, creando complessivamente disparità di aspettativa, di realizzazione professionale e di partecipazione alla vita del Paese, sarebbe ora di fare meno proclami e più atti concreti.

Alfredo Magnifico

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