Montelongo e i Fuochi di Sant’Antonio: dove il fuoco scalda l’anima e la tradizione si fa poesia

A Montelongo, incantevole borgo adagiato sulle alte colline nel basso Molise, l’estate non giunge di
colpo, ma si annuncia lentamente, con il crepitio gentile delle fascine accatastate agli angoli delle
strade. Già dai primi giorni di maggio, passeggiando tra i vicoli di pietra consumata e balconi fioriti,
si avverte una crescente attesa: mucchi ordinati di legna, ceppie, potature d’ulivo e di alberi da
frutto si preparano a diventare i protagonisti silenziosi di un rito antico quanto il paese stesso. È il
tempo dei Fuochi di Sant’Antonio di Padova.
Infatti la sera del primo giugno, Montelongo si trasforma in un teatro a cielo aperto. I quartieri, a
turno, accendono i loro fuochi solenni, vivi, carichi di significato. Non è solo una festa, ma un atto
di fede, un gesto di memoria, una scintilla di comunità. Le fiamme che si levano nei rioni non sono
solo legna che brucia, ma storie di mani che hanno raccolto le fascine, di voci che hanno tramandato
la tradizione, di bambini che guardano incantati quel bagliore sapendo che quel calore non è solo
fisico, ma anche spirituale.
Attorno ai fuochi si prega, si canta, si raccontano storie. Si condividono pani fatti in casa, vino
versato con generosità, piatti della tradizione che profumano di antico e di buono. Il crepitio del
fuoco si mescola al brusio delle conversazioni, mentre gli occhi si accendono di riflessi dorati. In
quel momento, la comunità riscopre un senso profondo di appartenenza, un legame che supera
l’individuo. I Fuochi di Sant’Antonio di Padova non sono una semplice ricorrenza, ma il cuore
pulsante di una liturgia popolare nata dall’intreccio di fede e agricoltura, di cielo e terra. Le fascine
che alimentano le fiamme sono il frutto di un lavoro paziente nei campi, del rispetto per la natura e i
suoi cicli. Potature di ulivi e alberi da frutto vengono raccolte e custodite con cura, come un tesoro
da tramandare.
Così, ogni anno, attorno ai fuochi si rinnova un patto non scritto: quello tra l’uomo e la terra, tra la
comunità e la sua memoria. Ogni fiamma che si leva nel cielo terso di giugno è una preghiera che si
fa luce, un inno alla continuità, un omaggio alla vita che, come il fuoco, si rigenera. Passeggiare per
Montelongo nei giorni dei fuochi significa immergersi in un’atmosfera sospesa, quasi fiabesca. Le
luci tremolanti disegnano ombre sulle facciate delle case in pietra, le campane scandiscono il tempo
con dolce solennità, e nell’aria si mescolano profumi di casa e accoglienza. Gli anziani raccontano
storie di fuochi ancora più grandi, di bambini che correvano a scaldarsi le mani mentre le nonne
servivano minestre calde in piatti di terracotta. I giovani partecipano con entusiasmo, consapevoli
che quella fiamma non deve spegnersi, perché è il filo sottile che unisce le generazioni. I Fuochi di
Sant’Antonio non si consumano nella loro fiamma, ma continuano a brillare nel cuore di chi li
accende. Sono un richiamo silenzioso alla corresponsabilità, un invito a prendersi cura del bene
comune come si farebbe con una luce preziosa, che va custodita e tramandata. Prepararli,
proteggerli, celebrarne il senso profondo non è soltanto un rito, ma un atto di rispetto reciproco, un
modo per intrecciare esistenze e rinsaldare legami, affinché la comunità resti viva e palpitante.
Ognuno vi trova il proprio posto, la propria voce, il proprio cuore da offrire, perché in ogni scintilla
c’è la memoria del passato e la promessa del futuro.
A Montelongo, in questi giorni di fuoco e di fede, il tempo rallenta, quasi volesse inchinarsi davanti
alla bellezza semplice e profonda di un rito che si rinnova. Non è solo una festa: è una carezza
luminosa che accende i volti, un abbraccio collettivo sotto il cielo stellato del Molise. Chi partecipa,
anche solo per una sera, ai Fuochi di Sant’Antonio, porta via con sé qualcosa di più di un ricordo:

un frammento di calore che resta dentro, come brace viva, pronta a riaccendersi ogni volta che si
pensa a Montelongo.

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