Liberaluna Onlus/Il male della violenza assistita


Tempo fa ho conosciuto una bambina bellissima e dolcissima. La madre si era rivolta
al nostro Centro decisa a lasciare il suo compagno e padre della bambina. Mi
colpito molto una frase che mi ha detto la piccola mentre giocava serenamente con
me : “Io voglio bene a papà.. Ma come ha potuto essere cattivo con la mamma e con
me, io sono la sua bimba e sono così buona! “


La violenza assistita è stata definita dal Cismai (Coordinamento Italiano dei Servizi
contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia) come “il fare esperienza da parte
del/la bambino/a di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di
violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento
o su altre figure affettivamente significative adulti e minori”.

In Italia sono 427 mila i minorenni che nell’arco temporale 2009-2014 hanno vissuto
la violenza dentro casa. Diretta o indiretta. In quest’ultimo caso il bambino prende
consapevolezza di quello che sta accadendo osservando gli effetti stessi della
violenza esercitata da padri, compagni od ex-partners sul corpo della propria
mamma, sulla psiche e sull’ambiente in cui vive(fonte fonte Save the Children).
La situazione quindi è diventata talmente rilevante anche giuridicamente tanto che il
nuovo “Codice rosso” ha inserito nell’articolo 572c.p. un ultimo comma nel quale si
dice«Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al
presente articolo si considera persona offesa dal reato.».

L’esposizione continua a simili modalità di relazione tra i genitori genera nel
bambino confusione riguardo i significato di affetto, intimità e violenza; la relazione
stessa tra i genitori appare distorta, confusa e ambivalente.
Le conseguenze possono manifestarsi sia a breve che a lungo termine. A livello
comportamentale possono manifestare aggressività, impulsività, irrequietezza,
immaturità, scarso impegno e disinteresse; a livello sociale possono sviluppare
scarse competenze sociali, difficoltà a empatizzare, rifiuto del gruppo dei pari e
conseguente isolamento, abuso di droghe e alcool, atti delinquenziali.
Sul piano fisico gli effetti possono generare un ritardo nello sviluppo, impacci sul
piano motorio, disturbi a livello psicosomatico, disturbi dell’alimentazione, disturbi
del sonno

Sul piano cognitivo e dell’apprendimento si registrano ritardi nello sviluppo
cognitivo e del linguaggio, deficit nell’attenzione e un calo del rendimento
scolastico.
A livello emotivo insorgo rabbia, depressione, ansia ,bassa autostima, fuga nella
fantasia.
Il bambino interiorizza il malessere fisico e psichico del genitore vittima di violenza,
così come la rabbia e i modi aggressivi e prevaricanti del genitore maltrattante: da
ciò conseguono modalità educative distorte e non adeguate. Questa esperienza di
violenza può provocare un vero e proprio arresto evolutivo nel bambino che può
degenerare in gravi psicopatologie e/o in forme di ritardo mentale.
Agli occhi del padre violento i figli sono spesso percepiti come «invisibili» e la
violenza continua spesso anche dopo la separazione perché diventa strumento per
raggiungere e colpire la madre. I centri Antiviolenza si occupano della donna e
quindi dei figli, è proibita la mediazione, ma in queste situazioni è il tribunale a
prescrivere il sostegno alla genitorialità ad entrambi. Di fatto la mediazione familiare
potrebbe essere adoperata dal partner violento per impedire che si compia
realmente la separazione.
Troppo sovente ormai leggiamo di storie, come dagli ultimi fatti di cronaca, in cui
non solo la donna ma anche i bambini perdono la vita a causa del marito-padre-
padrone che non riesce ad accettare la fine della relazione con la compagna,
decidendo così di porre fine alla vita di tutti, la sua compresa.
La violenza domestica, in misura diversa a seconda della sua gravità, danneggia le
competenze genitoriali, influenzando fortemente la relazione con figlie e figli e può
determinare effetti dannosi a breve, medio e lungo termine.
Il comportamento del maltrattante stravolge la vita della madre limitandone la
libertà e l’autorevolezza, modificando il modo in cui la stessa accudisce i figli e si
rapporta con loro. Una madre maltrattata è una madre ferita e spesso l’esigenza di
autoproteggersi e la necessità di sopravvivere non le permette di ascoltare i segnali
di sofferenza dei figli.
Fondamentale è l’aiuto che i centri antiviolenza offrono alle donne: Ri-dare potere di
determinazione a queste donne e mamme significa anche offrire loro gli strumenti
necessari per riprendere in mano in proprio ruolo di genitore e anche a volta aiutare
a ricostruire un rapporto madre-figlio che a causa della relazione violenta col
partner si era perso.

Dott. sa Valeria Mottillo, assistente sociale del Centro Antiviolenza Liberaluna

Commenti Facebook