La voce del minore nei procedimenti civili che lo riguardano

Gli ultimi interventi normativi in materia di famiglia hanno evidenziato una crescente attenzione e sensibilità del legislatore per le tematiche che, ad ampio spettro, coinvolgono i minori. Il soggetto minore di età viene considerato da un lato come autonomo soggetto portatore di diritti, dall’altro come oggetto di specifica protezione ordinamentale, in considerazione dei decrescenti gradi di incapacità che naturalmente caratterizzano questa fase dello sviluppo della persona umana.
In questa ottica si collocano le norme volte ad assicurare al minore “una voce in capitolo” in tutti quei procedimenti all’esito dei quali saranno adottati provvedimenti che lo riguardano.
Si pensi, ad esempio, ai provvedimenti adottati in ambito di separazione e divorzio, a quelli relativi alla revoca o alla sospensione della responsabilità genitoriale, ai procedimenti di adozione.
Orbene, l’ascolto del minore in queste ed altre procedure, testimonia una crescente fiducia nella sua capacità di autodeterminarsi, nella sua autonomia e nella sua possibilità di partecipare alle scelte genitoriali che lo riguardano; il diritto all’ascolto, dunque, può essere ricondotto nell’alveo del “superiore interesse del minore”, crisma ermeneutico fondamentale di qualsivoglia situazione giuridica afferente soggetti minori di età, comprese (e soprattutto) quelle relative alle relazioni tra genitori e figli.
Volendo esaminare le norme interne che disciplinano l’ascolto del minore, viene in rilevo anzitutto l’art. 315bis, comma 3, c.c. introdotto con L. 10/12/2012 n. 219, ove si legge: “il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”.
Inoltre l’art. 336 bis, comma 1, cod. civ, intitolato espressamente ‘ascolto del minore e introdotto con il D.Lgs 28/12/2013 n. 154, testualmente dispone: «il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l’ascolto è in contrasto con l’interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all’adempimento dandone atto con provvedimento motivato».
Alla luce dei citati articoli, è evidente che si può considerare l’ascolto come un diritto soggettivo assoluto del minore. In questa prospettiva l’ordinamento tutela l’affermazione della personalità e dell’identità del minore garantendogli la possibilità di esprimere le proprie opinioni ed emozioni in ordine a scelte, assunte peraltro da terzi, che comunque incideranno pesantemente sulla sua sfera esistenziale e di relazione. L’interesse tutelato dalle norme in questione è da ricercare nello sviluppo sano e armonico del minore stesso. Inoltre, in quanto diritto assoluto, esso è opponibile erga omnes; ciò consente di individuare una serie di contrapposti doveri specifici: il diritto all’ascolto implica necessariamente che i soggetti di volta in volta interessati (in primis i genitori, ma anche i parenti, il pubblico ministero, il giudice, gli ausiliari del giudice, il curatore speciale ecc.) debbano rendere realizzabile l’ascolto e non impediscano al minore di essere ascoltato.
Quanto al contenuto del diritto, va sottolineata la facoltà discrezionale dell’esercizio dello stesso. In sostanza, se, come già detto, l’ascolto del minore si inquadra nella tutela del suo superiore interesse, vien da sé che il diritto accordatogli non può trasmodare in un obbligo, onde scongiurare che l’ascolto si riveli pregiudizievole al minore stesso in considerazione, ad esempio, del suo stato psichico, ovvero delle peculiarità della sua relazione con i genitori.
Per questo motivo al diritto ad essere ascoltato si accompagna necessariamente l’opposto diritto del minore a non essere ascoltato, nonché il dovere per gli altri soggetti coinvolti di non obbligarlo ad essere ascoltato e di segnalare in ogni sede e momento gli eventuali pregiudizi che potrebbero derivare al minore dall’ascolto stesso.
Del resto l’art. 336-bis, comma 1 cpv, c.c. chiarisce che: “Se l’ascolto è in contrasto con l’interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all’adempimento dandone atto con provvedimento motivato”.
Per quanto concerne le modalità dell’ascolto, grande plauso merita la riforma laddove ha previsto che il minore deve essere ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato “anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari” e che, per evitare inutili turbamenti al minore medesimo, i soggetti terzi (compresi i genitori) non partecipano all’ascolto se non sono specificatamente autorizzati dal giudice. I difensori, inoltre possono prospettare al giudice argomenti e temi meritevoli di interesse, solo prima che l’ascolto abbia inizio.
Il favor del legislatore per il cosiddetto ascolto indiretto, quello cioè condotto da consulenti esperti, si spiega considerando che non di rado, nel funzionamento privato della triade genitori-figlio, il minore da ascoltare vive un “conflitto di lealtà” con i genitori, o si rifugia in un mondo immaginario. Inoltre – è utile ribadirlo con forza – l’ascolto del minore non va confuso con l’assunzione di una testimonianza e tantomeno con un interrogatorio.
Studi psicologici delle dinamiche familiari hanno evidenziato come, chiamato ad esprimere le proprie opinioni dinanzi ad un giudice, il minore possa adottare comportamenti e modalità di interazione “adattivi”, quelli che meglio gli consentiranno di “cercare di non perdere” l’appoggio di nessuna delle due figure parentali.
È importante, allora, che l’ascolto sia condotto da personale specializzato in grado non solo di mettere a proprio agio il minore, di interagire con lui senza influenzarlo, ma anche di accertare le condizioni del minore, verificando la sua situazione psicofisica con particolare riguardo alla genuinità delle dichiarazioni rese.
Inoltre, ai sensi del citato art. 336 bis c.c., il minore va adeguatamente informato della natura del procedimento e degli effetti dell’ascolto. Come è intuibile, il peso che il giudice darà agli esiti dell’audizione del minore nell’economia delle sue decisioni sarà diverso a seconda dell’età e del grado di maturità del minore stesso, sempre nella debita considerazione delle capacità delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni di questo.
Infine, per il tema in discorso, degno di nota è il riferimento all’art. 38 bis disp. att. c.c. che prevede che “quando la salvaguardia del minore è assicurata con idonei mezzi tecnici, quali l’uso di un vetro specchio unitamente ad impianto citofonico, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero possono seguire l’ascolto del minore, in luogo diverso da quello in cui egli si trova, senza chiedere l’autorizzazione del giudice prevista dall’articolo 336-bis, secondo comma, del codice civile”.
Le peculiarità dell’audizione dei minorenni hanno indotto la predisposizione nei tribunali di vere e proprie aule di ascolto, caratterizzate dalla presenza di due locali divisi da un vetro specchio e fornite di impianto citofonico in modo da consentire a chi è nella stanza attigua di osservare l’ascolto e sentire le affermazioni del minore senza tuttavia turbare la sua serenità ed inficiare la sua attendibilità. In presenza di questi mezzi tecnici che determinano un distacco fisico tra il minore da ascoltare e gli altri attori del procedimento, i difensori, il curatore speciale e il pm potranno assistere all’audizione anche senza la specifica autorizzazione del giudice.
A tal proposito va sottolineato che la norma non prevede un’analoga facoltà per i genitori: si comprende facilmente che la presenza dei genitori al di là dello specchio, di cui il minore dovrebbe essere reso edotto ex art. 336 bis comma 3 c.c., potrebbe condizionarlo notevolmente, soprattutto se si tratta di una separazione ad alta conflittualità tra i genitori stessi. Ed infatti, in queste ipotesi, spesso si riscontrano atteggiamenti “protettivi” del minore nei confronti di un genitore piuttosto che dell’altro, ovvero l’assunzione di ruoli e comportamenti adultizzati.
Poiché il linguaggio non verbale del minore, il suo contegno, gli eventuali silenzi, possono rivelare sentimenti e stati d’animo non altrimenti percepibili attraverso una pura e semplice verbalizzazione tradizionale dell’ascolto, nel silenzio della norma a riguardo, alcuni tribunali hanno dotato di impianti di videoregistrazione le aule deputate all’ascolto dei minori.
Dr.ssa Annarita Di Lecce – Studio Legale Tolesino

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