La riflessione/ Il 2 marzo, l’anniversario del dolore ma anche della speranza

E’ l’anniversario più triste della storia recente del Molise: il 2 marzo 2020 l’epidemia da Covid fece ‘ufficialmente’ la comparsa nella nostra regione e purtroppo da allora si è manifestata in un crescendo impressionate. In verità nel suo percorso ad un certo punto aveva ‘subdolamente’ creato l’illusione di volersi allontanare dalle nostre parti: il Molise era più o meno vicino al ‘contagio zero’ e diventato modello per tutta Italia, prima del tracollo preoccupante, grave e doloroso di questi giorni. Il primo caso molisano sembrò come il triste risveglio, quello che fece crollare la speranza di rimanere immuni da un fenomeno tanto nuovo quanto preoccupante; allora iniziò per noi ‘l’iter’ uguale agli altri, quando fu deciso di chiudere tutto e chiedere agli italiani di rimanere blindati in casa per qualche settimana. Ci affacciammo dalla finestra manifestando un insperato sentimento di solidarietà, seguirono le canzoni dai terrazzi alle 18 di ogni giorno e il cartello ‘andrà tutto bene’ con l’arcobaleno diventò l’inquilino di riferimento. Quando uscimmo per una prima passeggiata ci sembrò di essere nel film ‘The day after’, guardando gli altri come fossero dei sopravvissuti al nostro pari, al punto da apparire tutti amici, salutare con il sorriso anche chi non avevamo degnato di uno sguardo fino ad allora.

La solidarietà ‘esplose’ anche in tema sanitario: le aziende spendevano per donare alle strutture sanitarie i ventilatori polmonari e i caschi di Cpap ed una nota azienda isernina riconvertì provvisoriamente la produzione per realizzare dei caschi di respirazione per le terapie sub intensive, i medici e gli infermieri venivano osannati, e dai reparti i malati uscivano guariti, anche se dopo settimane, al punto che si poteva curare anche alcuni provenienti da altre regioni.

Abbiamo sperato, ma poi tutto è crollato. Questi 360 giorni hanno visto il ribaltamento della situazione in maniera totale: ad iniziare dalla sanità molisana, che è implosa drammaticamente. I reparti Covid scoppiano, il personale è sottoposto a turni massacranti e non si vedono ancora le assunzioni di nuovo personale da tempo promesse, mandiamo fuori pazienti gravissimi, c’è stato il ‘caso’ della carenza di ossigeno perché l’impianto del Cardarelli era obsoleto e ogni giorno c’è una tristissima conta dei morti, che va di pari passo con una paura che aumenta. Il ‘caso’ del Vietri di Larino suonerà a perenne colpa della politica sanitaria regionale, l’ospedale da campo è pronto ma vuoto. La politica locale si è dimostrata impreparata ad affrontare l’argomento e non è riuscita a liberarsi dalla cappa di lentezza decisionale e burocrazia che da sempre la caratterizza e persiste anche adesso.

Ora viviamo tutto e tutti male, nell’attesa del vaccino come se fosse la pozione miracolosa, ma nel frattempo con la paura d’incontraci e in un clima di asocialità totale e prolungato, che limita anche le amicizie e gli affetti. La zona rossa appesantirà tutto, con i negozi chiusi, le strade vuote e il peso psicologico che inciderà in un clima già pesante.

Il fatto è che il raggiungimento dell’obiettivo finale, il ritorno alla normalità, viene visto con la rassegnazione di chi sa che non sarà facile o almeno breve perché sono alti i numeri del contagio e terribilmente condizionanti quelli dei deceduti. Di fronte a questo c’è l’impotenza delle istituzioni nazionali, che sono quelle che dovrebbero darci certezze, ma non possono farlo contro questo nemico invisibile, potente e incredibilmente rapido ad adattarsi alla situazione mutando rapidamente; allora vanno per ipotesi, studiano strategie che danno risultati disomogenei e deboli e che quando questi provvisoriamente si realizzano non riescono a consolidarli in meglio nel lungo periodo.

Ma il quadro grave non deve assolutamente impedirci di rialzarci ed affrontare con determinazione la salita. In questo contesto la comunicazione, i social e l’intrattenimento televisivo e radiofonico possono giocare un ruolo centrale, certamente non dal punto di vista del miglioramento delle condizioni sanitarie, ma sicuramente del conforto mentale. Siamo chiamati tutti ad una prova di resilienza, a rialzare la testa per combattere la guerra psicologica almeno come quella sanitaria, anche senza strumenti adeguati, ad usare i mezzi di comunicazione, ma anche il dialogo personale, per spezzare la clausura, più mentale che fisica, in cui viviamo. E’ una prova epocale che comunque ha lasciato segni che dureranno anche in futuro e ci segnerà; ma che dobbiamo superare contro tutto e tutti.

Stefano Manocchio

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