Il film della settimana/ “Dead pigs” di Cathy Yan (Cina)

Pietro Colagiovanni *

Il film, del 2108, è il lungometraggio di esordio di Cathy Yan, regista cinese oggi naturalizzata statunitense ed è ambientato a Shangai. Il film è ispirato ad un fatto di cronaca accaduto nel 2013 quando oltre 13.000 carcasse di maiale furono scaricati nel fiume Huangpu nei pressi di Shangai da agricoltori di un vicino villaggio, dopo che i suini erano morti improvvisamente a causa di una misteriosa malattia. Nel 2020 Yan è salita alla luci della ribalta per aver diretto uno dei sequel della serie Bird of prey Harley Quinn ottavo film della serie di supereroi della Dc comics. Dead pigs è costruito come un intarsio di personaggi, spesso legati da legami familiari ma non sempre, che incrociano le loro vite a vario titolo colpite dalla moria dei maiali.

Il format chiaramente riconoscibile è quello di “America Oggi”, l’insuperabile capolavoro di Robert Altman e con lui condivide una narrazione che cerca di far venire fuori le profonde contraddizioni di una società tutta basata sui consumi, sul danaro, sulle apparenze e sugli status. Il cuore della vicenda ruota intorno ad un fratello ed una sorella. Lui contadino ormai sull’orlo del fallimento e inseguito da spietati strozzini, lei titolare di un avviato centro di bellezza ma arroccata a difendere la vecchia casa di famiglia, il cui abbattimento è l’ultimo ostacolo alla realizzazione di un mega complesso residenziale con migliaia di appartamenti. Su questi due perni si costruiscono le storie laterali: il figlio del contadino, immigrato a Shangai che incontra una rampolla di un ricchissimo imprenditore, un architetto americano (forse nemmeno architetto) che diventa responsabile del progetto che insidia la casa della protagonista e che alterna alla sua attività quella di figurante in eventi di show business (come l’apertura di centri commerciali) dove interpreta la parte del ricco milionario americano.

Le loro storie si mescolano, si incrociano si sovrappongono con un buon ritmo ed una buona intensità. Alla fine Yan gioca su due filoni principali: la forza drammatica dei legami, specie quelli familiari e la denuncia, con punte satiriche, di un capitalismo rampante, senza scrupoli, aggressivo e mercificante. Il film è ben realizzato ed è interessante anche come testimonianza antropologica sulla nuova Cina, quella in cui arricchirsi è glorioso, quella del capitalismo comunista che ha fatto diventare in pochi decenni la Cina una superpotenza mondiale.

La fotografia gioca molto sul contrasto tra un passato contadino povero e millenario ancora presente ma in via di eradicazione e le luci, la tecnologia scintillante, i panorami moderni del roboante sviluppo economico cinese. Il film, nonostante qualche buco nella sceneggiatura e qualche soluzione melodrammatica fuori tono è ben realizzato ed è ben interpretato. La sua pecca principale, non sappiamo se voluta o indotta, è che , nonostante le disavventure spesso drammatiche dei suoi protagonisti è un film confortante. Nonostante i difetti dei singoli uomini (i maiali erano morti per un mangime tossico ma il proprietario dell’azienda che li produceva viene arrestato), nonostante la cupidigia di un meccanismo pensato per la ricerca del profitto il sistema sa garantire equilibrio.

La satira sociale non si trasforma mai in qualcosa di più profondo e dissacrante, in critica del sistema: forse perchè non può (i film in Cina sono soggetti ad un’occhiuta censura del Partito comunista) forse perchè non vuole in ogni caso l’opera perde così una parte del suo interessante potenziale.

Voto 3,25/5

*imprenditore, giornalista, fondatore e amministratore del gruppo Terminus

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