Il Campobasso in serie C/ Da Falcione a Gesuè, nuovo calcio ed emozioni antiche

di Stefano Manocchio

Lo sport aggrega, separa, accalora e raffredda: ci sono tanti modi per viverlo ed ogni fascia di età ha il suo, più o meno spettacolare o intimo, ma sempre importante. Ieri si è ravvivato qualcosa in me: il ricordo del tifo di quarant’anni fa, i CUC, le percussioni suonate da ‘Pasquale dei Pooh’, Armando e il cane lupo, il biondo Truant inseguito dalle ragazzine di Campobasso (che gli mettevano la biancheria intima nella cassetta delle poste, ignorando che lui avesse una compagna di vita piuttosto, anzi molto, bella), e la spiegazione che le stesse ragazzine davano a noi giovanotti locali “che uno alto e biondo così non l’avevamo mai visto”. E ancora: la fila davanti il Club Rossoblù per avere ‘in affitto’ la bandiera migliore da esibire al campo sportivo…e potrei continuare all’infinito. Questo ammasso di ricordi scritto così potrebbe far pensare ad uno con le idee confuse; invece li ho voluti scrivere in rapida successione, perché ieri mentre guardavo ‘i nuovi’ tifosi con bandiere e trombette, fumogeni e cori festeggiare all’impazzata è proprio in quest’ordine che le immagini descritte si sono ‘materializzate’ nella mia mente.

Ho seguito le gesta del Campobasso ‘della Preistoria’ dalla mia infanzia fino al crollo definitivo, che dalla B lo portò agli inferi: poi, deluso, amareggiato ed arrabbiato decisi di non andare più allo stadio, di non farmi venire il batticuore, ma di seguire ‘a distanza’ i colori rossoblù, esultando ‘in silenzio’ quando Berardo riportò la squadra nella C di allora.

L’ex-Romagnoli (foto originale a cura di Stefano Manocchio)

Continuo a descrivere le mie emozioni senza una logica analitica. Cosa c’è di diverso nel calcio da allora ad oggi e che Campobasso ci dobbiamo aspettare? Intanto consideriamo che per dare sostanza ad una squadra locale abbiamo dovuto chiedere aiuto ai ‘forestieri’…e meno male! Il Molise non è stato mai generoso verso la pratica sportiva e gli imprenditori locali (fatta eccezione per i Ferro con la Magnolia e pochi altri) hanno spesso avuto ‘la puzza sotto il naso’ al momento di intervenire mettendo mano al portafoglio; a Campobasso poi tutto questo si è amplificato oltre misura. Gigino Falcione (che non era di Campobasso) dopo avere finanziato di suo pugno quasi tutto, chiamò a raccolta gli amici imprenditori, facendo capire in totale amicizia che senza un gruppo coeso di amici, che fossero anche contribuenti, lui non si sarebbe lanciato oltre nell’impresa. Fu, come mi confidò molti anni dopo uno di loro, un ‘piacere molto simile ad un dovere’ che solo un imprenditore forte, stimato, generoso e anche autoritario (per carisma) come Falcione avrebbe potuto fare passare anche volentieri. Poi arrivò Molinari (che almeno di origini neanche lui era campobassano) e non riuscì più di tanto a replicare l’idea e alla fine si dissanguò per la squadra e in quasi totale solitudine la seguì nei massimi onori come nel tracollo finale.

Ora per salire in C è stata praticata l’unica strada possibile: capitali non molisani e in parte neanche italiani, sempre per lo stesso motivo, perché i locali quei soldi difficilmente li avrebbero garantiti. E’ giusto così, perché il calcio costa, costa sudore e passione ma costa ancor più dal punto di vista finanziario e costa molto di più di un tempo e il Molise forse non può permetterselo o semplicemente non lo vuole. Noi dobbiamo ringraziare la passione e l’impeto di Gesuè, l’entusiasmo e l’organizzazione aziendale di Rizzetta, la bravura di Cudini e dei suoi ragazzi; e io li voglio ringraziare perché mi hanno fatto tornare alla mente che un tempo allo stadio abbiamo visto passare la Juventus, il Milan, la Roma e la Lazio. Perché il Molise, se un poco è conosciuto, è più per i trascorsi del Campobasso che per la bellezza delle cascate di Carpinone, che pure meriterebbero ben altra gloria. Li voglio ringraziare perché mi hanno fatto ricordare che insieme ad altre migliaia di persone da ragazzo ho urlato “olio, petrolio, benzina e minerale, per battere il Campobasso ci vuol la nazionale!” e ho cantato in coro “e la domenica, a Campobasso tutti quanti a vedere la partita…”, perché da giovane appassionato percussionista ero poco distante da Pasquale ‘dei Pooh’ a battere il ritmo sul tamburo, perché ho sfilato in una decappottabile con lo spumante a bordo e una bandiera che copriva tutta l’auto a festeggiare la promozione in B.

Infine, cosa non di pco conto, ieri il batticuore mi ha fatto sentire anche un poco meno vecchio. E anche di questo voglio ringraziare Gesué, Rizzetta, Cudini e tutti quelli che vorranno continuare a credere nel Campobasso, da ovunque provengano.

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