Il fenomeno nel corso degli anni è esploso, anche in Molise: quasi mezzo milione di voucher l’anno scorso, per qualche migliaio di lavoratori a ridottissimo reddito. “Il lavoro occasionale accessorio, pagato con i voucher, non è una tipologia contrattuale, non prevede la dettagliata comunicazione obbligatoria di assunzione al Servizio per l’impiego, non da diritto a malattia, maternità, assegni familiari, trattamento di fine rapporto, e tutto ciò che è connesso ad un “vero” rapporto di lavoro in termini di diritti e tutele. Ma c’è di più: il compenso percepito è esente da imposizione fiscale per committente e lavoratore. Quindi…NO IRPEF, NO IRAP, NO IRES.”
Tecla Boccardo, leader della UIL Molise, evidenzia un passaggio fondamentale: “Anziché ridurre, stando ai dati ufficiali degli ultimi anni, un fenomeno diffuso e patologicamente presente nel nostro mercato del lavoro, come il lavoro irregolare o sommerso, rischiano di alimentarlo. Cosa impedisce, infatti, ad un datore di lavoro – esemplifica – di acquistare dei buoni-lavoro e poi, verificato che non sono “arrivati” gli ispettori, consegnarne solo una parte rispetto alle ore lavorate o addirittura riconsegnarli o tenerli per altra occasione? Cosa impedisce ad un titolare di ristorante, anziché assumere, pagare con i voucher allettando anche lo stesso lavoratore con il “non pagamento” delle tasse sull’importo percepito?”
Quando nel 2003 fu introdotto nel nostro ordinamento il “lavoro occasionale accessorio”, retribuito attraverso i “buoni lavoro” (voucher), in pochi contestarono la volontà del legislatore di tentare di regolare, in forma semplice e non burocratica, prestazioni di lavoro oggettivamente residuali e, appunto, occasionali. Ci si rivolgeva, in particolare, a quelle prestazioni brevi, saltuarie, accessorie, discontinue per le quali era, e purtroppo in gran parte ancora oggi è, in uso il pagamento in nero: piccoli lavori domestici, giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi, monumenti, insegnamento privato supplementare (ripetizioni), consegna porta a porta, che spesso non vedevano forme “regolate” e “regolari” di lavoro.
Si trattava, essenzialmente, di quelle attività dove si potevano più facilmente annidare sacche di lavoro nero. Ed era questa la finalità principale per la quale nacque questo istituto: andare a coprire quella fetta di mercato occupazionale “nascosta” che sarebbe potuta rimanere tale anche in presenza delle nuove forme contrattuali flessibili nate nello stesso anno.
Ma cosa è il “voucher”? Potremmo definirlo un ticket-lavoro, con un valore nominale ed orario di 10 euro lorde (comprensive di un 13% di contribuzione previdenziale alla gestione separata Inps, una copertura assicurativa Inail del 7%, ed un contributo per il concessionario del servizio pari al 5% da destinare all’Inps), e di cui 7,50 euro nette vanno al prestatore di lavoro.
Cade, con la Riforma Fornero, il riferimento al concetto di “accessorietà ed occasionalità” della prestazione da svolgere con i voucher, restando quale unico limite quello economico di 5 mila euro nette l’anno, che, da giugno 2015, sono state innalzate a 7 mila euro.
Nel corso degli anni questo fenomeno è esploso: nel 2008 di voucher ne sono stati venduti 535 mila, l’anno passato 115 milioni. Il numero di lavoratori interessati è passato dai circa 25 mila voucheristi ad oltre 1 milione nel 2014 e quasi 1.700.000 nell’anno passato. Questo snaturamento si manifesta immediatamente anche analizzando la finalizzazione: si è passati dalla prevalenza dell’agricoltura e delle manifestazioni sportive come settori di maggior utilizzo nei primi anni, al prevalente uso nei settori del commercio, del turismo e dei servizi.
I numeri del Molise sono ben lontani da quelli delle Regioni più “voucherizzate” (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna), ma anche da noi i voucher venduti sono stati quasi mezzo milione (esattamente 497.767, due terzi in provincia di Campobasso, un terzo nella provincia pentra). Erano solo 261 quelli venduti nel 2008!.
Nel 2014, ultimo dato completo disponibile, in Molise ne sono stati venduti 294.000, ma ne sono stati effettivamente utilizzati 270.000; il fenomeno ha interessato 7.300 lavoratori, ognuno dei quali ha incassato mediamente 37 voucher, guadagnando pertanto meno di 280 euro. Si tratta di giovani lavoratori, impiegati prevalentemente nei settori del commercio, del turismo e dei servizi.
Proprio il dato sui giovani (oltre il 40% dei voucheristi italiani, nel 2014, ha fino a 29 anni) dovrebbe far riflettere alla luce del non successo sia di Garanzia Giovani che del contratto di Apprendistato, in continua decrescita.
Amara considerazione quella della UIL: “La natura e la finalità originaria di questo istituto è stata profondamente modificata, e ha preso il sopravvento la prassi di un utilizzo distorto di questo istituto, che ha finito in buona parte per sostituire, in maniera sì legale ma alquanto “furbesca”, rapporti di lavoro subordinato che vedono nella contrattazione collettiva tutele e garanzie che il lavoro accessorio non conferisce a coloro che lavorano con i buoni-lavoro.”
“Quello che temiamo – sempre il Segretario Generale della UIL Molise – è che anche da noi questo strumento possa cannibalizzare sempre di più potenziali rapporti di lavoro subordinato attraverso l’utilizzo di questo poco tutelante (per il lavoratore) istituto che nel tempo produrrà, inevitabilmente, pensioni minime, instabilità lavorativa, bassa professionalità, e, soprattutto, un “buco fiscale” nelle casse dello Stato ed un indebolimento del sistema di sostegno al reddito (i voucher sono esentati dal contributo per indennità disoccupazione e non danno diritto ad essa). Per questo il Governo, il legislatore e le stesse imprese devono ragionare con il Sindacato su come meglio regolare uno strumento che, se portato fuori controllo (come sembra stia avvenendo), rischia di alterare ogni equilibrio tra necessaria flessibilità per le imprese, e tutele essenziali e minime per chi lavora.”
Boccardo (UIL): ripensare subito i Voucher ( buoni? lavoro)
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