Campobasso/ In ricordo di Vittorio Rizzi

di Stefano Manocchio

Non posso nascondere il velo di tristezza che mi ha preso nel momento in cui ho letto la brutta notizia della dipartita di Vittorio Rizzi; fatto che, a poca distanza dalla scomparsa di Gino Di Bartolomeo, mi ricorda come una generazione politica di Campobasso di fatto sia svanita, facendo ogni volta affiorare i ricordi di quando io ero un giovane appassionato di giornalismo e politica. Vittorio e Gino, secondo me , sono stati accomunati dal fatto di aver dato tanto alla città per riceverne molto meno in cambio. Diversi caratterialmente, ma uniti dalla passione per la politica, che in verità in Vittorio è stata un interesse sicuramente minore rispetto a quella per la sua professione forense, dove è stato maestro per tanti. Mi sono spinto a scrivere questo ricordo anche se con lui ho avuto un rapporto di conoscenza di lunga data, ma poco caratterizzato dalle sue scelte politiche e sul tema specifico non sono state molte le occasioni di discussione. Fra tutte mi piace ricordare quelle, lunghe ed interessanti, avute quando era uscito fuori dalla politica attiva e poteva parlare più liberamente. In quel periodo è stato osservatore attento e lucido e le sue analisi mi sono rimaste ben impresse in mente. Vittorio non aveva un carattere semplice e a mio avviso non era particolarmente propenso alla comunicazione politica e questo fatto non gli dava il credito che il suo grande impegno meritava.

Sembrava distaccato, invece ascoltava sempre e molto, ma non si faceva condizionare. Cito un episodio significativo della sua riservatezza: all’indomani della sconfitta elettorale al Senato, dove il centro sinistra trionfò con l’elezione di Cinzia Dato, mi spiegò perché, pur conoscendomi da tempo, non mi aveva chiesto il voto: perché lo aveva fatto soprattutto con chi non conosceva, dando per scontato che negli altri la stima personale si sarebbe tramutata in consenso. Ecco, da questo punto di vista era poco molisano. E’ stato sindaco, consigliere e assessore regionale, ma si sentiva, giustamente, soprattutto avvocato. Veniva dalla scuola democristiana di Girolamo LaPenna, come Di Bartolmeo e dal parlamentare molisano aveva preso una certa calma; il termolese, però aveva dalla sua una capacità dialettica e di convincimento che poi i suoi eredi non sono riusciti ad eguagliare.

In apparente contrasto con un carattere da solitario, la sua estrema gentilezza e cordialità; salutava sempre e con un accenno di sorriso e se veniva salutato, non mancava di ricambiare con la stessa gentilezza.

R.I.P. Vittorio

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