Varie ed eventuali/ I miti dell’evasione fiscale

di Pietro Colagiovanni

L’evasione fiscale è da tutti considerato il grande male dell’Italia. A dire il vero soprattutto dagli stranieri che, come si usa dire, si prendono la pizzicata e possono martellare gli italiani come mafia, pizza mandolino ed evasione. Il problema inutile dirlo c’è ma non è nei termini che il kombinat di informazione che domina la nostra nazione ci vorrebbe far credere. L’apparato di propaganda italiano ci dice che l’evasione nasce soprattutto tra i piccoli imprenditori, l’idraulico, l’artigiano, il piccolo negoziante. Non fanno gli scontrini, non fanno le fatture, dagli all’untore. Certo l’evasione di queste categorie esiste ma soprattutto perché l’Italia ha un tessuto vastissimo di piccole imprese, che gli altri paesi non conoscono, ma non è l’evasione più consistente.

Ma è quella più facile da colpire perché fatta da soggetti deboli, cui lo Stato, con una divisa da finanziere o un tesserino da agenzia delle entrate può davvero fare paura. Queste categorie poi spesso devono ricorrere all’evasione per legittima difesa: il peso delle tasse in Italia è esagerato e come abbiamo visto qualche settimana fa questo fiume di soldi non porta a buoni servizi pubblici ma a sperperi incontrollati e incontrollabili. Chi non è un ciclista e abita a Campobasso mi può capire bene. Ma allora qual è la vera evasione fiscale? E’ fatta da soggetti forti, talmente forti che riescono a condizionare lo stato esattore, in molti casi corrompendolo in altri semplicemente fregandolo.

Qualche anno fa lessi una stima del totale dell’evasione fiscale italiana, non ricordo bene le cifre ma si parlava di centinaia di miliardi di euro. E in questa intelligente ricerca venivano forniti anche i pesi degli evasori, il loro contributo all’evasione totale. Al primo posto, inarrivabile, c’era la criminalità. Un giro vorticoso di droga, mazzette, prostituzione, appalti, pizzo, traffici illeciti e chi ne ha più ne metta che ovviamente sfugge completamente ai redditometri o alle dichiarazioni fiscali. Se non ricordo male si parlava di 100 miliardi di euro in tasse evase. Al secondo posto poi c’era una sorpresa, o manco tanto. Al secondo posto nella classifica la vera sorpresa.

Le grandi imprese contribuivano in modo significativo all’evasione fiscale per decine di miliardi di euro l’anno. Basta d’altronde spostare la sede legale in Olanda, per restare in Europa, o in Delaware per andare negli Stati Uniti e non paghi più un becco di tasse, almeno quelle dirette. Ma tra queste grandi imprese ce ne sono alcune che non pagano nemmeno l’Iva, quella per cui la Guardia di Finanza fa chiudere il piccolo salumiere sotto casa. Un esempio a me vicino come giornalista ed editore. Se fai la pubblicità sul mio sito io devo fatturarti con l’Iva al 22%. Se fai la pubblicità su Google o su Facebook non paghi nemmeno l’Iva. Si tratta di evasione, anche se tecnicamente è legale e chiama in causa l’Iva intracomunitaria e i regimi agevolati, come l’Irlanda o il mitico Lussemburgo di un Europa che è un fallimento fiscale. E quanto salumerie devi far chiudere e sanzionare severamente per recuperare l’Iva di colossi come Meta, ossia Facebook Instagram e WhatsApp messi insieme? Solo terzi arrivano distaccatissimi i piccoli imprenditori, in cui tra l’altro la parte del leone non la fa il carrozziere o il meccanico ma magari il dentista o, come mi è capitato, perfino il notaio che qualche anno fa mi chiese una quota in nero di una parcella. Quindi signori miei l’Italia e lo Stato italiano si dimostrano al solito per quello che sono: dei quaquaraqua, forti con i deboli e infinitamente deboli con i forti.

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