Sanità in Molise/ La pandemia, la paura e il dialogo che non c’è

Quello che sta succedendo in Molise con la cosiddetta ‘seconda ondata’ è qualcosa che, come in altre parti d’Italia, alcuni avevano ipotizzato (o almeno posto in punto di domanda), ma che certamente nessuno aveva previsto con questi numeri drammaticamente ‘imponenti’. A parziale giustificazione dell’errore evidente di calcolo va detto che un po’ tutti ci eravamo illusi (dopo che la regione si era avviata verso il ‘contagio zero’ stabile e comunque raggiunto più volte nelle singole giornate estive), che il virus sarebbe stato debellato a breve o, meglio, che si sarebbe naturalmente estinto in via definitiva; ma le aspirazioni e la scienza non sempre vanno a braccetto, soprattutto quando nella stessa scienza ci sono tesi differenti e analisi anche antitetiche.

Il Molise si è distinto, questa volta non in positivo, per l’assenza di un centro di ricovero Covid isolato e separato dalle strutture ‘generaliste’ e la presenza dei malati di coronavirus nello stesso stabile sanitario degli ‘altri’ resterà, almeno a mio giudizio, un errore enorme di valutazione. Non tornerò sul ‘caso’ della richiesta di insediare il centro Covid a Larino, visto che già ho abbondantemente detto la mia e non trovo che la soluzione della riabilitazione post-Covid nel centro frentano sia la stessa cosa di quanto larga parte del Molise ha chiesto, sia considerando figure istituzionali a qualunque livello che semplici cittadini. Le motivazioni della decisione sono state date in forma ‘testuale’, come spiegazione, senza dibattito e senza contenzioso (almeno nelle forme istituzionali) e, quindi, probabilmente non sapremo perché veramente si è deciso di andare controcorrente; cioè se facendo un’analisi esclusivamente tecnico-scientifica o anche per motivi di opportunità politica.

E’ questo in sintesi il punto focale e finale del discorso: l’assenza di dialogo tra politica e base (anche elettorale), tra politica e parti sociali e anche all’interno della stessa politica, maggioranza compresa. Quello che si vede all’esterno è una classe ammnistrativa governante che sul tema sanitario ha idee proprie, che potrebbero anche alla fine rivelarsi giuste e comunque difformi rispetto a quelle di tutti gli altri e le porta avanti con convinzione e senza ‘trattare’ con nessuno, anzi in perfetta solitudine. Gli amministratori regionali potrebbero avere dati che gli altri non conoscono (e sarebbe anche la normalità), avere studi che sconsiglino una separazione di reparti, forse per motivi logistici o semplicemente hanno fatto una scelta di cui prenderanno oneri ed onore, ma anche la responsabilità.

Di contro non c’è unità neanche nella controparte: tutti viaggiano per conto proprio, con richieste differenti e tesi proprie, fatto che in materia di sanità e bene collettivo non è consigliabile, forse dannoso. Noi dobbiamo pensare che tutte le scelte sanitarie, in questo momento determinanti per la salute pubblica, siano state ponderate e comunque sperare che il decisore politico abbia visto giusto, perché ne va della salute di migliaia di persone; per fare, eventualmente, i conti con la storia ci sarà tempo e la verità si saprà quando questo incubo sarà finito.

Stefano Manocchio

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