Ogni anno la classe dirigente italiana spreca circa 400 miliardi di euro

Il convulso periodo politico, economico ed istituzionale vive alla luce di alcune granitiche certezze, propalate a tutto spiano da un sistema mediatico completamente asservito ai poteri forti o meno deboli, che la gente assume come verità scontate. Sono ormai luoghi comuni, banalità che si danno psicologicamente per assodate, come elementi di scenario. Eppure mai operazione di disinformazione ha avuto tanto successo, viste le premesse su cui si poggia. C’è la crisi, è la prima scontata parola. La crisi che colpisce tutto e tutti, che impone cambiamenti e sacrifici, che impone un tributo in vite umane, in suicidi e aggressività in aumento. Ma nessuno ti spiega perché c’è la crisi, dove nasce e quali sono le sue ragioni.

Eppure si tratta di una constatazione semplice, banale che però fa paura alle elite al governo. La crisi nasce, nell’ambito di un più complessivo riposizionamento dell’economia e dei metodi di produzione a livello mondiale (informatizzazione, delocalizzazione e smaterializzazione) perché in Italia i soldi si sprecano .Si sprecano essenzialmente quelli dello stato, i soldi pubblici ma si sprecano anche quelli dei grandi sistemi finanziari ed economici. Lo stato italiano ogni anno incassa, liquidi e sui propri conti, qualcosa come 600/700 miliardi di euro. Una somma enorme che sarebbe invidiata da chiunque. Eppure lo Stato italiano spende più di questa somma, secondo le ultime proiezioni va in deficit di circa 40/50 miliardi di euro l’anno. E’ come se in una famiglia entrano ogni mese 30.000 euro ma poi ne escono, per un tenore di vita insostenibile 40.000. Una follia. E perché succede questo? Perché le elite al potere, astrattamente difensori democratici della volontà popolare, sono impegnate da oltre trenta anni in una colossale appropriazione di questi soldi che giungono sui conti dello stato italiano. E’ un’opera di depredazione alacre, continua e inarrestabile. Le forme di appropriazione sono le più diverse: alla Maddalena per un G8 mai svolto abbiamo sprecato almeno 600/800 milioni di euro (secondo le ultime ricostruzioni della magistratura), il Ponte dello stretto che non si farà mai costerà un altro 1,2 miliardi di euro. I rimborsi ai partiti politici costano 200/300 milioni di euro l’anno, il Senato costa quasi un miliardo di euro l’anno, il Quirinale oltre 200 milioni. E poi ci sono gli enti locali, le Regioni, i manager, i consulenti, il sottobosco. Ci sono le pensioni d’oro con il neo giudice costituzionale Giuliano Amato che di pensione riceve 31.000 euro al mese. Le pensioni d’oro, quelle sopra i 3000 euro al mese costano ogni anno circa 13 miliardi di euro l’anno. Se continui così  è ovvio che poi devi aumentare l’Iva, non hai soldi per ridurre le tasse sul lavoro (le più alte del mondo), devi tagliare la sanità, la scuola, i servizi sociali. E’ pensabile ipotizzare che la classe al governo si appropri di un buon 30% dei soldi che gli italiani versano ogni anno allo Stato, un buco di quasi 200 miliardi di euro l’anno. Attenzione. Il fenomeno del ladrocinio oligarchico non è limitato solo allo stato. Prendiamo le banche, specie quelle più grandi, quelle cosiddette di sistema. Pochi conoscono l’ingegnere minerario franco-polacco Roman Zaleski. Eppure il suo nome è uno degli esempi più fulgidi di come ragioni il sistema bancario, quello che nega 20.000 euro di prestito al lattoniere che vuole comprare una macchina nuove e più efficiente. La holding di Zaleski la Tassara ha ottenuto dalle banche italiane (in primis Banca Intesa) un paio di miliardi di euro di fido per comprarsi , indovinate che?: le azioni delle banche che gli prestavano i soldi. Così il signor Zaleski era azionista di quello che gli prestava i soldi e avrebbe votato per l’eternità il presidente e il Cda della banca erogante. Così è stato. Peccato però che quelle azioni hanno visto negli ultimi anni crollare il loro valore. Morale della favola: un buco nei bilanci delle banche di qualche miliardo di euro, tutto fatto per operazioni di potere che con la produzione e l’impiego efficiente dei capitali (compito per il quale nasce la banca già nel Medioevo) non hanno nulla a che vedere. Se poi ci vogliamo dilungare su Telecom o su Alitalia (costata sin qui già 5 miliardi di euro al contribuente) si capisce come lo sperpero colossale di danaro riguarda una fetta dell’intera economia italiana non solo l’economia pubblica. E allora ricapitoliamo: 200 miliardi vengono sottratti dalle casse pubbliche, circa il 20-30% del bilancio. Se applichiamo lo stesso metro all’economia italiana restante abbiamo una sottrazione da parte delle elite al potere per almeno altri 200 miliardi di euro, soldi vanificati nel nulla senza che diano alcuna utilità alla controparte. Insomma 400 miliardi di euro ogni anno se ne vanno ad ingrassare meno dell’1% della popolazione italiana che, tra l’altro, li accumula spesso in paradisi fiscali o compra beni e servizi all’estero sommando al danno anche la beffa. Mentre il restante 99% della popolazione, ovviamente, sprofonda nella crisi più nera.

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