Varie ed eventuali/ Spunti per una fenomenologia di Facebook/Si viaggiare!


Pietro Colagiovanni
Anche questa settimana ci occupiamo di social, nello specifico Facebook, e delle mie
personalissime considerazioni su questo importante mezzo di comunicazione di massa.
Come già detto le cose più interessanti si trovano nelle considerazioni personali degli utenti,
nei loro post, nei loro stati in quello, in sostanza, che vogliono e amano comunicare. Uno
delle dimensioni più significative su Facebook è quella relativa ai viaggi. Non so bene
ancora perché (ma azzarderò alla fine qualche ipotesi) gli iscritti a questo social amano in
maniera quasi totalizzante comunicare e far conoscere i loro viaggi. Un po’ si tratta di una
vecchia abitudine. Ai miei tempi una delle cose più temute era quando gli amici, reduci da
un viaggio, avevano deciso di infliggerti una speciale penitenza, non so bene per quale
strana legge del contrappasso: vedere insieme le diapositive relative alla loro ultima
vacanza. Un tormento privo di estasi che rendeva difficile altrimenti piacevoli incontri
amicali. C’è sicuramente questo antico voyeurismo nei post di viaggio degli utenti Facebook
ma, vista la loro insistenza e numerosità, non c’è solo questo. C’è di più, un di più, forse
inquietante, sicuramente compulsivo che agita chi decide di mettere in piazza le proprie,
non sempre esaltanti, esperienze di viandante. Quando il viaggio è in Italia l’accozzaglia a
volte grottesca, a volte ingenua, a volte anche interessante di immagini, luoghi e sorrisi non
tracima nella pura follia. Quando il viaggio è all’estero il rischio di delirio da dottor
Stranamore assunto dall’Alpitour c’è. Anche qui si parte dal tradizionale: foto di famigliole
felici davanti Notre Dame (prima dell’incendio) o alla Torre Eiffel (anche adesso), single in

un ristorante/bettola con davanti una paella e scritte spagnole in sottofondo, classiche foto
con il marmittone davanti Buckingham Palace, una mucca sorridente, tanti fiori e un utente
Facebook che indica festante il mulino a vento olandese, facce tristi nella triste e
malinconica Lisbona, people from Ibiza di giovani (a volte nemmeno tanto giovani)
succintamente vestiti, casa imbiancata e scalinata imbiancata con riflessi di azzurro nel
paesino dell’isola greca e poi un milione di foto con scogli, sabbia, ciottoli, acqua azzurra
acqua chiara di praticamente ogni centimetro quadrato di costa del Mediterraneo. Ma sin qui
siamo nel normotipo di Facebook. Poi ci sono i casi eterodossi, quelli che davvero mi
intrigano. Iniziamo. Foto del tassista abusivo dell’aeroporto Fiumicino di Roma con tanto di
indicazione dell’orario dello scatto. Poi foto di uno snack piuttosto orribile con in sottofondo il finestrino di un aereo. Poi foto di nuvole da cui non si vede una cippa. Poi foto
di altro aereoporto, probabilmente quello di destinazione, di un viaggio che si ipotizza
epico, con tanto di ora e data. Infine alla terza, quarta o anche quinta foto di questo
scombinato puzzle il mistero si scioglie. L’utente Facebook era arrivato a destinazione. E
dove era arrivato a destinazione? Dove lo aveva portato, come un cavaliere errante nelle
praterie sterminate dell’Asia, questa tragitta così sofferta, intensa, vissuta? Semplicemente a
Praga capitale della Repubblica Ceca, due ore di volo dall’Italia. Non Timbuctu, non
Samarcanda, non il Laos e i suoi templi da Indiana Jones ma Praga, la romantica. Che
delusione! Altri che mi fanno impazzire sono quelli che sembrano dei marines che ti
raccontano la loro vita di missioni impossibili. Prima post: geolocalizzazione con tanto di
puntina di Google Maps. Roma, non sai se aeroporto militare o aeroporto civile. Data e ora
in diretta. Non c’è altro, non c’è una descrizione, si tratterà evidentemente di una missione
segreta. Dopo qualche ora nuova geolocalizzazione. Puntina di Google in bella evidenza e la
missione segreta si scopre: Tirana, aeroporto internazionale con data e ora. Non sai se è
lui/lei che guida l’aereo, che potrebbe allora avere anche un senso, ma resta un pizzico di
delusione. Tu ti aspettavi che fosse atterrato nella Papua Nuova Guinea, in piena foresta
equatoriale in un aeroporto con tanto striscia di sabbia ricavata nella radura e invece si tratta
di un banale volo commerciale di un’oretta per una destinazione che si può raggiungere,
volendo, anche in traghetto. Bah… Il massimo però si ha con gli utenti che decidono di fare
un viaggio esotico. Lì c’è il vero delirio, l’apoteosi pura. Ma di questo mi occuperò la
prossima settimana.

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