Un lavoratore su due boccia lo smart working

Una recente ricerca dei consulenti del lavoro afferma che un lavoratore su due boccia lo smart working e il 40% vorrebbe tornare in presenza, si dichiara contento solo il 52% dei lavoratori “remoti” e il 50,3% di quelli che si recano ogni giorno in presenza.

Chi ha avuto difficoltà ad; attrezzarsi, collegarsi, a gestirsi con i figli a casa, non solo “boccia” lo smart working, ma inizia anche ad avvertire, rispetto alle dinamiche aziendali, un senso di marginalizzazione, penalizzazione della carriera e disaffezione verso il lavoro.

Quattro lavoratori su dieci sono contenti all’ipotesi di tornare a lavorare tutti i giorni in presenza; il 43,5% non lo sarebbe, ma si adatterebbe alle nuove condizioni, mentre il 16,7% guarda lo smart working come un punto di non ritorno della propria vita professionale, il 10,7% cercherebbe un qualsiasi altro lavoro pur di continuare a lavorare da casa, il 4,5% sarebbe disposto a farsi abbassare lo stipendio e l’1,5% addirittura dimettersi.

Donne e uomini esprimono mediamente lo stesso favore, anche se tra le prime la quota di quante sono “molto contente” di lavorare da casa è più alta (21,3% contro il 12,6%).

Gli uomini soffrono le conseguenze del lavoro da casa, in termini relazionali e di carriera, più delle colleghe, (52,4%  contro il 45,7%), la marginalizzazione rispetto alle dinamiche aziendali (51,1% contro 40,9%),

Per gli uomini lavorare da casa, li ha portati ad essere più produttivi e concentrati (46,8% contro il 35,6% delle donne) anche se più esposti a rischi per la salute visto che più della metà lamenta dopo un anno problemi fisici di varia natura.

Uomini e donne esprimono uguale giudizio sulla conciliazione vita-lavoro: hanno sofferto l’allungamento dei tempi di lavoro (57% contro 50,5% degli uomini), l’inadeguatezza degli spazi di lavoro casalinghi (42,1% contro 37,9% degli uomini) ed evidenziato un maggiore rischio di disaffezione rispetto al lavoro: dopo un anno sono il 44,3% a lamentare un maggiore distacco verso il lavoro.

Il 18,7% degli uomini contro il 13,8% delle donne è disposto a cambiare lavoro o ridurre il reddito pur di poter continuare a lavorare da casa, il 53,1% di chi lavora da casa segnala disagi e controindicazioni, a partire dalla dilatazione dei tempi di lavoro, che finiscono per sovrapporsi a quelli domestici e privati.

Il venire meno della presenza come “misuratore” del lavoro da un lato porta a una maggior concentrazione sui risultati, dall’altro aumenta stress,ansia da prestazione e  carico di lavoro (49,7%)

Lo stravolgimento delle relazioni con colleghi, capi, clienti, causa distanziamento fisico, ha effetti controproducenti per un lavoratore su due, il 49,7% segnala infatti il peggioramento del clima in azienda, l’indebolimento delle relazioni di lavoro; il 47% si sente marginalizzato rispetto alle dinamiche delle organizzazioni, il 40% segnala una vera e propria disaffezione verso il lavoro.

Lo smart working ha rappresentato più di tutti l’opportunità per conciliare il lavoro con la vita privata (66,1%): il (48,5%) ha lavorato, per brevi periodi, anche in luoghi diversi dalla casa, il 37,1% ha passato periodi con famigliari e amici lontani.

Il 28,4% ha cambiato o pensa di cambiare città, mentre il 37,1% intende cambiare casa, il 53,8% ha visto ridurre le spese per spostamenti, vitto e alloggio.

I monogenitori e single sono tendenzialmente più soddisfatti di lavorare da casa, mentre tra chi vive in coppia, la discriminante è rappresentata dai figli: chi è senza, apprezza decisamente lo smart working, mentre, per chi li ha il giudizio è nettamente più negativo, il 55,2% dichiara di avere conciliato meglio lavoro e famiglia (contro il 77,2% delle coppie senza figli), il 43% a dichiarare che questo aspetto è peggiorato,  in molti hanno visto deteriorare le relazioni famigliari (25%), e più di un terzo (38,6%) ha tagliato le spese per colf, badanti e baby-sitter, accollandosi, oltre al lavoro e la famiglia un onere di incombenze domestiche in più, tradizionalmente affidato all’esterno.

Il modello ibrido, verso cui molte aziende stanno indirizzando le proprie scelte organizzative, potrebbe essere la soluzione che riscuote meno successo: se tra chi lavora stabilmente da remoto – e soprattutto lo fa ormai da prima dello scoppio della pandemia – la quota di soddisfatti si attesta al 57,7%, tra chi lavora in modalità alternata scende al 46,9%, e cresce parallelamente il livello di insoddisfazione (si ritiene per nulla contento della situazione il 20,7% degli smart workers “ibridi” contro il 13,3% dei permanenti).

Occorre ripensare nella regolazione del lavoro subordinato, lasciando alla contrattazione collettiva, il compito di rintracciare le migliori soluzioni per contemperare le richieste di imprese e lavoratori. Sarà interessante confrontarsi anche su questo tema con il mondo della politica e delle imprese e delle parti sociali.

Il mio primo accordo in tema risale ad oltre dieci anni fa in American Express e allora volli chiamarlo “Telelavoro”.

Alfredo Magnifico

Un lavoratore su due boccia lo smart working.

Una recente ricerca dei consulenti del lavoro afferma che un lavoratore su due boccia lo smart working e il 40% vorrebbe tornare in presenza, si dichiara contento solo il 52% dei lavoratori “remoti” e il 50,3% di quelli che si recano ogni giorno in presenza.

Chi ha avuto difficoltà ad; attrezzarsi, collegarsi, a gestirsi con i figli a casa, non solo “boccia” lo smart working, ma inizia anche ad avvertire, rispetto alle dinamiche aziendali, un senso di marginalizzazione, penalizzazione della carriera e disaffezione verso il lavoro.

Quattro lavoratori su dieci sono contenti all’ipotesi di tornare a lavorare tutti i giorni in presenza; il 43,5% non lo sarebbe, ma si adatterebbe alle nuove condizioni, mentre il 16,7% guarda lo smart working come un punto di non ritorno della propria vita professionale, il 10,7% cercherebbe un qualsiasi altro lavoro pur di continuare a lavorare da casa, il 4,5% sarebbe disposto a farsi abbassare lo stipendio e l’1,5% addirittura dimettersi.

Donne e uomini esprimono mediamente lo stesso favore, anche se tra le prime la quota di quante sono “molto contente” di lavorare da casa è più alta (21,3% contro il 12,6%).

Gli uomini soffrono le conseguenze del lavoro da casa, in termini relazionali e di carriera, più delle colleghe, (52,4%  contro il 45,7%), la marginalizzazione rispetto alle dinamiche aziendali (51,1% contro 40,9%),

Per gli uomini lavorare da casa, li ha portati ad essere più produttivi e concentrati (46,8% contro il 35,6% delle donne) anche se più esposti a rischi per la salute visto che più della metà lamenta dopo un anno problemi fisici di varia natura.

Uomini e donne esprimono uguale giudizio sulla conciliazione vita-lavoro: hanno sofferto l’allungamento dei tempi di lavoro (57% contro 50,5% degli uomini), l’inadeguatezza degli spazi di lavoro casalinghi (42,1% contro 37,9% degli uomini) ed evidenziato un maggiore rischio di disaffezione rispetto al lavoro: dopo un anno sono il 44,3% a lamentare un maggiore distacco verso il lavoro.

Il 18,7% degli uomini contro il 13,8% delle donne è disposto a cambiare lavoro o ridurre il reddito pur di poter continuare a lavorare da casa, il 53,1% di chi lavora da casa segnala disagi e controindicazioni, a partire dalla dilatazione dei tempi di lavoro, che finiscono per sovrapporsi a quelli domestici e privati.

Il venire meno della presenza come “misuratore” del lavoro da un lato porta a una maggior concentrazione sui risultati, dall’altro aumenta stress,ansia da prestazione e  carico di lavoro (49,7%)

Lo stravolgimento delle relazioni con colleghi, capi, clienti, causa distanziamento fisico, ha effetti controproducenti per un lavoratore su due, il 49,7% segnala infatti il peggioramento del clima in azienda, l’indebolimento delle relazioni di lavoro; il 47% si sente marginalizzato rispetto alle dinamiche delle organizzazioni, il 40% segnala una vera e propria disaffezione verso il lavoro.

Lo smart working ha rappresentato più di tutti l’opportunità per conciliare il lavoro con la vita privata (66,1%): il (48,5%) ha lavorato, per brevi periodi, anche in luoghi diversi dalla casa, il 37,1% ha passato periodi con famigliari e amici lontani.

Il 28,4% ha cambiato o pensa di cambiare città, mentre il 37,1% intende cambiare casa, il 53,8% ha visto ridurre le spese per spostamenti, vitto e alloggio.

I monogenitori e single sono tendenzialmente più soddisfatti di lavorare da casa, mentre tra chi vive in coppia, la discriminante è rappresentata dai figli: chi è senza, apprezza decisamente lo smart working, mentre, per chi li ha il giudizio è nettamente più negativo, il 55,2% dichiara di avere conciliato meglio lavoro e famiglia (contro il 77,2% delle coppie senza figli), il 43% a dichiarare che questo aspetto è peggiorato,  in molti hanno visto deteriorare le relazioni famigliari (25%), e più di un terzo (38,6%) ha tagliato le spese per colf, badanti e baby-sitter, accollandosi, oltre al lavoro e la famiglia un onere di incombenze domestiche in più, tradizionalmente affidato all’esterno.

Il modello ibrido, verso cui molte aziende stanno indirizzando le proprie scelte organizzative, potrebbe essere la soluzione che riscuote meno successo: se tra chi lavora stabilmente da remoto – e soprattutto lo fa ormai da prima dello scoppio della pandemia – la quota di soddisfatti si attesta al 57,7%, tra chi lavora in modalità alternata scende al 46,9%, e cresce parallelamente il livello di insoddisfazione (si ritiene per nulla contento della situazione il 20,7% degli smart workers “ibridi” contro il 13,3% dei permanenti).

Occorre ripensare nella regolazione del lavoro subordinato, lasciando alla contrattazione collettiva, il compito di rintracciare le migliori soluzioni per contemperare le richieste di imprese e lavoratori. Sarà interessante confrontarsi anche su questo tema con il mondo della politica e delle imprese e delle parti sociali.

Il mio primo accordo in tema risale ad oltre dieci anni fa in American Express e allora volli chiamarlo “Telelavoro”.

Alfredo Magnifico

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