Rifiuto di lavoro a turni concordato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9526 del 11 aprile 2025, ha affrontato un caso significativo in materia di licenziamento e diritti sindacali.

Il cuore della questione, il comportamento di un gruppo di lavoratori che, per protestare contro la mancata corresponsione di un’indennità prevista da un contratto aziendale, aveva modificato l’orario di lavoro senza rispettare i turni a scorrimento stabiliti dal datore.

I lavoratori, a fronte del diniego dell’azienda, di erogare l’indennità turni, hanno disatteso l’accordo concordato, ed hanno continuato a svolgere le loro prestazioni durante il normale orario di lavoro. Il datore di lavoro qualificando tale atto come insubordinazione ha proceduto ad irrogare provvedimenti di licenziamento, rispetto ai quali, dopo i due gradi di giudizio, la Cassazione si è espressa con la sentenza n. 9526/2025.

La Corte di Cassazione ha chiarito i confini tra: sciopero, azione collettiva e legittimità del recesso datoriale, ribadendo l’importanza di tutelare i diritti collettivi dei dipendenti, anche in assenza di una proclamazione formale dello sciopero da parte del sindacato, la mancata erogazione di un’indennità prevista) aveva generato una protesta spontanea tra i dipendenti.

La protesta non si era tradotta in un’astensione totale o parziale dal lavoro, ma in una modifica autonoma degli orari di servizio, comunque, svolti e retribuiti, i conseguenti licenziamenti sono stati giudicati ritorsivi e quindi nulli.

I lavoratori avevano seguito gli orari previsti dal contratto collettivo nazionale di categoria e non quelli di un accordo aziendale di secondo livello del 2018, il cui rispetto era stato contestato per la mancata corresponsione della relativa indennità economica.

La Corte d’Appello di Napoli, riformando la sentenza di primo grado, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento, ritenendo che il comportamento dei lavoratori non fosse né una grave insubordinazione né una giusta causa di recesso ed aveva escluso che si trattasse di un vero e proprio sciopero, ma una protesta spontanea non organizzata da sindacati, punibile con una sanzione conservativa.

La Cassazione ha riconosciuto che, anche in assenza di astensione dal lavoro e di una proclamazione formale, la condotta collettiva rappresentava una forma lecita di autotutela sindacale.

La modifica, unilaterale, dei turni, realizzata da un gruppo compatto di lavoratori, costituiva una protesta per ottenere il rispetto di diritti contrattuali e doveva essere considerata una forma di azione collettiva tutelata dalla Costituzione e dal diritto europeo.

La Cassazione ha evidenziato come l’azione dei lavoratori fosse parte di un conflitto collettivo legittimo, finalizzato a rivendicare il rispetto di accordi contrattuali, e secondo la giurisprudenza consolidata, il diritto di azione collettiva non è limitato solo allo sciopero formale, ma comprende tutte le forme di protesta non violente che mirano alla tutela degli interessi dei lavoratori, diritto protetto dall’articolo 39 della Costituzione italiana, dall’articolo 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e da altre fonti sovranazionali.

La Cassazione ha sottolineato che non è necessario che l’azione sia organizzata formalmente da un sindacato né che si traduca in un’astensione lavorativa totale: ciò che conta è la finalità collettiva dell’azione e il rispetto dei limiti posti dall’ordinamento, come l’assenza  di danni alla produttività aziendale, di conseguenza, i licenziamenti intimati dalla società sono stati dichiarati nulli in quanto discriminatori e ritorsivi, in violazione dell’articolo 4 della legge n. 604/1966.

La sentenza rappresenta un importante richiamo per le imprese: l’esercizio collettivo dei diritti dei lavoratori, anche in forme atipiche rispetto allo sciopero tradizionale, merita una tutela piena contro ogni forma di repressione datoriale.

L’azione di protesta dei lavoratori, se finalizzata alla difesa di diritti riconosciuti e svolta senza violazioni gravi, non può giustificare un licenziamento disciplinare, né a titolo conservativo né espulsivo.

i lavoratori sono stati tutti reintegrati nel posto di lavoro con il conseguente pagamento delle retribuzioni, per tutto il periodo non lavorato a seguito dei recessi illegittimi adottati dall’imprenditore.

Alfredo Magnifico

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