Qualche domanda, impertinente, sui tempi del referendum

Non metto in dubbio che la CGIL nella sua lunga storia ha promosso battaglie importanti, né nego l’impegno sui referendum presenti e passati o sulla “Carta dei diritti”.

La domanda che mi verrebbe spontaneo porre al Segretario della CGIL e il dubbio che sollevo, è politico e strategico: perché adesso?

Ero alla Leopolda in quel consesso erano presenti persone più illustri di me, del mondo politico e sindacale, tutti si aggiravano in quell’enorme spazio con aria adorante, cortigiani in attesa di uno sguardo di Renzi, principe del momento.

Perché proporre questi referendum solo quando il quadro politico è ostile e senza alcuna possibilità di interlocuzione istituzionale?

Dove era questa determinazione durante i governi Gentiloni o Conte II, in cui, pur con tutti i loro limiti, esisteva uno spazio di ascolto maggiore per il mondo del lavoro?

Quello sarebbe stato il momento in cui si potevano tentare riforme parlamentari strutturali, oggi sono solo battaglie simboliche o referendarie a freddo, nella migliore delle ipotesi si cancella una legge e si ripristina la vecchia che è peggiore della legge esistente nella peggiore delle ipotesi questo governo che non mi sembra troppo amico dei lavoratori faccia una legge peggiore di quella che il referendum vuole abrogare.

Il fatto che i governi a guida PD-M5S non sono stati “di sinistra” nel senso più radicale e storico, è un giudizio che condivido, ma non basta per assolvere la CGIL da un grave e ambiguo ritardo tattico.

Piccolo suggerimento da chi nella vita ha scelto di stare solo da una parte, senza ruoli apicali,” quando al governo c’è il “tuo campo amico”, anche se imperfetto, è proprio lì che dovresti spingere forte per ottenere risultati, farlo solo quando sei all’opposizione rischia di apparire come una mossa identitaria e di rottura più che realmente trasformativa o di benessere delle persone che rappresenti”.

Non metto in discussione il merito dei quesiti, né prendo le parti del governo, ma due opposte iniziative in campo “Referendum e Partecipazione” stanno sderenando i lavoratori che non vedono rinnovati i contratti per ripicche.

Mio Nonno diceva;”il vino si può fare anche con l’uva”, io parafrasandolo dico:” il sindacato si può fare anche senza i lavoratori”, oggi che la rappresentanza sindacale non è più appannaggio delle tre organizzazioni, che possono tranquillamente campare di rendita, la mia critica, non è di equidistanza, anzi, è una critica interna, da sinistra, a chi, sindacato o partito, non ha saputo o voluto usare meglio il proprio peso quando ce n’era davvero l’occasione.

Chi si batte per i lavoratori deve essere capace di scegliere bene i tempi, della lotta e della pace, della trattativa, dello sciopero e dell’accordo o della chiusura di un contratto, altrimenti si rischia, di avere sempre ragione, ma sempre troppo tardi con il risultato di fare molto male quello che chi ti delega ti chiede di fare.

Alfredo Magnifico

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