Perché stavamo meglio quando stavamo peggio

Una ricerca Ipsos sviluppata su 30 Paesi, ci descrive come nostalgici e scontenti, alla domanda se si sta meglio oggi o 50 anni fa, la maggioranza ha scelto il 1975, quando eravamo più felici, più sicuri, avevamo una scuola migliore e maggiori prospettive di crescita, unica eccezione: la salute, decisamente meglio farsi curare oggi, non tanto per la copertura sanitaria, quanto per i passi da giganti che la medicina nel frattempo ha fatto.

Personalmente vivevo i miei anni di università, lontano dal Molise a Roma, non avevo il cellulare ma la tesca piena di gettoni telefonici, nel 76 feci la mia esperienza di volontario in Friuli nel post terremoto, anni meravigliosi che al di là delle condizioni economiche mi fanno ripensare alla mia spensierata gioventù, personalmente io, anche se non intervistato sono tra coloro che rimpiangono quegli anni e non solo.

Sarà per la nostalgia della gioventù o realtà dell’ epoca di quando Berta Filava, ma tantissimi hanno uno sguardo indulgente sul passato, scordando gli aspetti negativi e critici; e invece a non perdonare nulla al presente, mettendo in ombra gli aspetti positivi, del passato emerge ciò che avevamo, del presente ciò che ci manca.

Gli italiani si piazzano sul podio dei nostalgici scontenti, sul podio campione assoluto è la Francia, molto meglio il 1975, seguita da Turchia e Italia, con il dato prevedibile dell’età: più si è in là con gli anni, più si preferisce il 1975.

Il 1975 è preferito anche là dove la ragione potrebbe e dovrebbe, sia pure a fatica, prevalere sul sentimento. La paura della guerra, la “sicurezza nelle strade”, cinquant’anni fa eravamo in piena guerra fredda, in Italia c’erano molti più omicidi, molte più rapine, il terrorismo faceva un morto ammazzato al giorno, andavi a scuola e all’università con serie possibilità di prenderti una randellata o un bullone in testa, nonostante tutto, meglio nascere allora.

Nel 1975 erano molto più felici i francesi, i turchi e gli italiani, all’ultimo posto, in tutti i parametri c’è la Corea del Sud, seguita da Cile e Argentina, cileni e argentini che, ancora oggi, non hanno dimenticato come si viveva da loro nel 1975: dittatura, violenza, paura, assenza di libertà, economia depressa, quart’ultima è la Polonia, che evidentemente non prova nostalgia ,almeno non ancora, per il socialismo reale e l’ombrellone sovietico.

Appena il 19% dei coreani, e degli abitanti di Singapore, avrebbe preferito nascere nel 1975, contro percentuali altrove ben al di sopra del 50, non hanno dimenticato che cos’erano 50 anni fa. altrove il boom economico era in corso o da poco avvenuto e se ne godevano i benefici; da loro assolutamente no, il paese viveva nella povertà e nell’insicurezza.

Oggi la Corea percepisce sé stessa come una società vitale, attraversata da forti disuguaglianze sociali ma anche fornita di altrettanto forti capacità autocritiche, e la ricca produzione di film e fiction ne è la palese dimostrazione.

I coreani sono ben coscienti dei propri limiti, ma anche delle proprie potenzialità. Sono una società in movimento, mentre altre società – anche la nostra? Anche quella francese? – non eccellono in ottimismo e tenacia. Il limite della ricerca Ipsos è che tra i 30 Paesi coinvolti mancano due giganti del calibro di Cina e Russia. Come russi e cinesi percepiscano sé stessi lo ignoriamo.

Alfredo Magnifico                      

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